_PID_GUIDAN{FBC0F7C6-8B6B-4907-98C4-118595DE9928}PPP`PxPAAOBBLIGAZIONI E CONTRATTINovazione La novazione oggettiva del contratto di locazione va ravvisata nella sola ipotesi in cui le parti sostituiscono all'originaria obbligazione una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, purché risulti in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova, mentre non può presumersi la novazione del contratto in caso di mera adesione del conduttore ad una proposta del locatore di aumento del canone, laddove restino inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e manchi l'espressa manifestazione di una volontà novativa. HYPERLINK "O3 S03 A2003 N17913 "Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2003, n. 17913 Il contratto di locazione ha natura personale e prescinde del tutto dall'esistenza e titolarità nel locatore di un diritto reale sulla cosa. Il conduttore, convenuto per il rilascio dell'immobile per finita locazione, non può pertanto utilmente opporre al locatore che quest'ultimo non ha mai avuto o ha perduto la titolarità della cosa locata. HYPERLINK "O3 S03 A2003 N17913 "Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2003, n. 17913 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE TERZA CIVILEComposta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. Michele VARRONE - Presidente -Dott. Antonio LIMONGELLI - Consigliere -Dott. Italo PURCARO - Rel. Consigliere -Dott. Fabio MAZZA - Consigliere -Dott. Alfonso AMATUCCI - Consigliere -ha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso proposto da:CANNAVACCIUOLO SALVATORE, domiciliato in ROMA presso LA CORTE DICASSAZIONE, difeso dall'avvocato MAURIZIO DE TILLA, giusta delega inatti;- ricorrente -controIMMOBILIARE GE.CA. SRL, in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA presso la CORTE diCASSAZIONE, difesa dall'avvocato ANTONIO BARBATO con studio in 80055PORTICI VIA LIBERT 67, giusta delega in atti;- controricorrente -avverso la sentenza n. 416-00 della Corte d'Appello di NAPOLI,Sezione II Civile, emessa il 09-02-00 e depositata il 24-02-00 (R.G.2078-99);udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del22-09-03 dal Consigliere Dott. Italo PURCARO;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Federico SORRENTINO che ha conclusa per il rigetto del ricorso. Fatto Con atto notificato il 2 aprile 1996, la società Immobiliare G.C., in persona del legale rappresentante, premesso di essere proprietaria e locatrice dell'immobile costituito dai locali, accessori e pertinenze, delimitati, nel loro insieme, dalla discesa a mare e dal sottostante arenile, sito in Portici, alla P.za Granatello o San Pasquale, nel fabbricato denominato Villa Bruno o Villa D'Elboeuf; - che tali locali erano condotti in locazione, per uso ristorante, da Salvatore Cannavacciuolo; - che il relativo contratto, sorto con il dante causa della istante il 4 maggio 1972, scadeva il 3 maggio 1998 e che non intendeva rinnovarlo; tanto premesso, intimò al conduttore licenza per finita locazione alla predetta data, contestualmente citandolo innanzi al pretore di Portici per l'emissione del conseguente provvedimento di convalida.Instauratosi il contraddittorio, il Cannavacciuolo si oppose alla convalida eccependo la carenza di legittimazione ad agire dell'intimante in quanto, a suo dire, gran parte dei beni da lui occupati, di cui si chiedeva il rilascio, non appartenevano all'attrice, ma al pubblico demanio. Eccepì, altresì, l'avvenuto rinnovo del rapporto de quo e, nel contempo, spiegò domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento della somma di oltre 2 miliardi di lire a titolo di rimborso dei miglioramenti ed addizioni, che erano stati effettuati ai cespiti.Espletata l'istruttoria del caso, il pretore adito, con sentenza depositata il 4 giugno 1999, dichiarò cessata alla data del 30 luglio 1996 la locazione concernente tutti i locali utilizzati dal convenuto presso la villa Bruno, con esclusione unicamente di quelli oggetto della concessione rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Torre del Greco, condannandolo al rilascio dei beni locati e fissando per l'esecuzione la data del 30 ottobre 1999; rigettò, altresì, la spiegata domanda riconvenzionale del conduttore.Avverso detta sentenza il Cannavacciulo propose appello, insistendo per il rigetto della domanda di rilascio e per l'accoglimento della riconvenzionale.Costituitasi l'appellata, la corte di appello di Napoli, con sentenza del 9 febbraio 2000, rigettò l'appello, osservando, tra l'altro, in parte motiva: - che il c.t.u., nominato in corso di causa, aveva proceduto ad una puntuale rilevazione e riproduzione dello stato dei luoghi ed aveva operato un attento confronto tra correlative risultanze e le attestazioni documentali acquisite, pervenendo alla conclusione che l'unica superficie sulla quale il Cannavacciuolo esercitava la propria attività e che non risultava di proprietà della GE.CA. era quella per la quale aveva ottenuto concessione dalla Capitaneria di porto e che, come si evinceva anche dai rilievi fotografici in atti, era del tutto esterna alle mura del complesso di Villa d'Elboeuf; che, relativamente alla data di cessazione del rapporto (30 luglio 1996), nessuna specifica censura era stata addotta dall'appellante in ordine all'analitica dimostrazione svolta dal giudice di primo grado, mentre andava disattesa la doglianza secondo cui il pretore aveva pronunziato extra petitum, fissando una data antecedente a quella indicata dalla società istante, atteso che questa ultima aveva correlato la richiesta di rilascio non solo alla data indicata, ma anche, in alternativa, a quella diversa "di legge"; - che era da escludersi la sussistenza di una intervenuta novazione del contratto, posto che la sola modificazione del canone non era di per sè indice di novazione del rapporto; - che, in ordine al rigetto della pretesa concernente il pagamento della indennità per miglioramenti ed addizioni, doveva rilevarsi che il primo giudice aveva motivato tale rigetto sulla base del rilievo, che non aveva formato oggetto di specifica censura, secondo cui, alla stregua degli accertamenti del c.t.u., gli interventi operati dall'appellante medesimo avevano cagionato una profonda alterazione strutturale ed una rilevante trasformazione del bene locato, recando notevole pregiudizio ad un complesso immobiliare di notevole interesse storico ed architettonico: inoltre, dalle risultanze istruttorie, mancava qualsiasi prova in ordine al consenso del locatore all'effettuazione dei lavori in esame; - che doveva ritenersi inammissibile, siccome proposta solo in sede di appello, la domanda dell'appellante relativa al riconoscimento del diritto all'indennità per l'incremento di valore a norma dell'art. 936 c.c..Per la cassazione della suindicata sentenza Salvatore Cannavacciulo ha proposto ricorso, sulla base di sette motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso la società GECA. HYPERLINK l "Dirittoback"Inizio documento Diritto 1) Devono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente connessi, i primi tre motivi del ricorso.Con il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 822, 823. 1362. 1470 e 1571 c.c., nonché motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c. p. c., il ricorrente deduce, in primo luogo, che la sentenza impugnata era errata laddove, in contrasto con quanto emerso dalla documentazione prodotta, erano stati inclusi nella locazione una serie di beni, specificamente indicati nel ricorso, non appartenenti alla GE.CA., ma al demanio pubblico, come si evinceva dai documenti prodotti, dai quali emergeva, in buona sostanza, che la superficie di proprietà della società locatrice era pari a mq. 200 e non di mq. 1.000, come, invece, erroneamente ritenuto dalla corte di appello.Con il secondo e terzo motivo, deducendo violazione di legge e motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, il ricorrente assume che la corte di merito era incorsa in ulteriore errore per non avere dichiarato la nullità del contratto di locazione, stante la natura demaniale di rilevanti porzioni dei beni di cui si chiedeva il rilascio, nonché l'omesso esame della questione relativa alla indisponibilità dei beni demaniali a favore dei terzi e nei modi stabiliti dalla legge.Le doglianze non meritano accoglimento.Con riferimento, in particolare, a quanto dedotto con il primo motivo, si osserva che, in linea generale, il contratto di locazione ha natura personale e prescinde del tutto dall'esistenza e titolarità nel locatore di un diritto reale sulla cosa. Pertanto, il conduttore, convenuto per il rilascio dell'immobile per finita locazione, non può utilmente opporre al locatore che egli non ha mai avuto, in tutto o in parte, la titolarità della cosa locata.Peraltro, nella specie, la censura deve essere presa in esame, atteso che, come si è posto in luce, il ricorrente con i due motivi successivi ha dedotto la nullità del contratto sul presupposto della demanialità di gran parte dei beni locati.La censura di cui al primo motivo è, peraltro, inammissibile.Al riguardo, si osserva, infatti, che, con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, il ricorso per cassazione - in ragione del principio, deducibile dalla previsione di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c., di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di fare rinvio ed accedere - particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte - a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (ex plurimis, Cass.13 settembre 1999, n. 9734, Cass.17 giugno 1995 n. 6863, 25 maggio 1995 n. 5742, 12 agosto 1994 n. 7392).Il che preclude, quindi, la possibilità di un esame diretto e completo della scrittura in questione al fine di poter valutare e decidere sulla fondatezza, o meno, delle censure svolte con riferimento ad essa. palese, quindi, alla luce delle considerazioni che precedono, che parte ricorrente non poteva limitarsi a fare riferimento ai contratti menzionati, ma doveva, necessariamente, trascrivere in ricorso il contenuto delle clausole più rilevanti dei contratti medesimi, allo scopo di porre questa corte nelle condizioni di apprezzare la rilevanza e pertinenza, ai fini del decidere, delle critiche mosse alla sentenza gravata.A ciò va aggiunta la considerazione che il giudice del merito ha posto a fondamento della raggiunta conclusione della infondatezza del primo motivo di appello le seguenti considerazioni, che non hanno formato oggetto di specifica impugnazione in questa sede: a) che il c.t.u., nominato in corso di causa, aveva proceduto ad una puntuale rilevazione e riproduzione dello stato dei luoghi ed aveva operato un attento confronto tra correlative risultanze e le attestazioni documentali acquisite in atti, identificando l'oggetto della concessione della Capitaneria di porto in favore di Cannavacciuolo Salvatore jr., concernente l'occupazione di una zona demaniale marittima di mq. 150, e ciò previo esame dei dati obbiettivi connessi all'accatastamento del 4 aprile 1940. La menzionata serie di rilevazioni e la loro unitaria valutazione avevano condotto alle seguenti univoche conclusioni: - che era di proprietà della società GE.CA. tutta la superficie compresa nelle mura del complesso come questo fu, a suo tempo, progettato e costruito e come risultava tuttora individuabile ed ancora così come testualmente riportato nell'atto di compravendita; - che l'unica superficie, sulla quale il Cannavacciuolo esercitava la sua attività, che non risultava di proprietà della GE.CA., era quella per la quale aveva ottenuto concessione dalla Capitaneria di porto e che era del tutto esterna alle mura del complesso di Villa d'Elboeuf. Risultava, pertanto, del tutto insussistente la deduzione dell'appellante concernente l'appartenenza al demanio dei locali in questione, appartenenza che era, altresì, esclusa dalle concordi deposizioni dei testi; b) che la natura privata ed il carattere unitario della villa in questione trovavano ulteriore conferma nei pareri espressi in data 28 giugno 1994, 9 gennaio 1995 e 21 gennaio 1997, della competente Sovrintendenza per i beni ambientali ed architettonici in ordine al progetto di restauro, consolidamento statico ed adeguamento funzionale; c) che, infine, il riconoscimento della società GE.CA. come effettiva locatrice di tutte le unità immobiliari in questione trovava ulteriore e definitiva conferma proprio nelle allegazioni dell'appellante, che aveva richiesto alla società medesima la corresponsione dell'importo di oltre due miliardi, per addizioni e miglioramenti relativi all'intero complesso occupato. sufficiente, conclusivamente, rilevare che nessuna delle dette ragioni ha formato oggetto di specifica censura ad opera del ricorrente, che si è richiamato in termini assolutamente generici alle risultanze documentali indicate nel ricorso, determinando, in tal modo, l'inammissibilità del motivo.Esclusa, quindi, la demanialità anche parziale dei beni locati, appaiono chiaramente del tutto irrilevanti e vanno, pertanto, rigettate siccome infondate, le doglianze di cui al secondo e terzo motivo del ricorso.2) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1592 e 1593 c.c., nonché motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all'art. 360, nn.3 e 5 c.p.c., assumendo l'erroneità della sentenza impugnata, per non avere la stessa riconosciuto ad esso ricorrente il diritto alla corresponsione delle indennità per miglioramenti ed addizioni, eseguite a proprie cure e spese, per un valore di oltre due miliardi.La corte di merito, erroneamente, aveva non solo ritenuto che le opere eseguite avevano recato notevole pregiudizio al complesso immobiliare locato, ma che il conduttore non avrebbe potuto addurre obbiettivi elementi di prova in ordine al consenso del locatore in ordine ai lavori eseguiti.Il motivo è infondato.Al riguardo è sufficiente rilevare che non è stata censurata l'affermazione contenuta nella sentenza gravata (pag. 28), nella parte in cui la stessa rileva che non aveva formato oggetto di censura alcuna ad opera dell'appellante l'affermazione del giudice di prima cure, secondo cui le risultanze degli accertamenti del c.t.u. e le stesse allegazioni del Cannavacciuolo ponevano in chiaro rilievo "che gli interventi operati dall'appellante avevano cagionato una profonda alterazione strutturale ad una rilevante trasformazione del bene locato, recando notevole pregiudizio ad un complesso immobiliare di notevole interesse storico ad architettonico", soggiungendo, altresì, che "la considerata autonoma motivazione - giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare e sorreggere la pronuncia - è divenuta definitiva". A ciò aggiungasi che la sentenza della corte partenopea pone in luce (pag. 29) - anche qui senza alcuna censura - come, in ogni caso, non erano stati addotti oggettivi elementi di prova in ordine al preteso consenso prestato dal locatore in ordine ai lavori in questione, laddove lo stesso appellante, nell'interrogatorio reso all'udienza del 9 aprile 1997, aveva dichiarato di non avere mai informato la GE.CA. dell'effettuazione dei lavori, mentre nessuno dei testi escussi aveva asserito che la società resistente era a conoscenza dei lavori in questione.3) Con il quinto motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 345 c.p.c. e 936 c.c., nonché motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., assumendo che la sentenza impugnata andava censurata laddove era stata dichiarata inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in sede di appello, la domanda dell'odierno ricorrente volta al riconoscimento del diritto all'indennità per l'incremento di valore ex art. 936 c.c.. La sentenza era errata, in quanto, nella specie, la richiesta indennitaria era stata già formulata in prime cure da esso istante, solo che in sede di appello era stata reiterata, sia pure con l'individuazione di altro criterio per la determinazione del quantum.La censura è inammissibile, atteso che il ricorrente ha indicato in termini del tutto generici l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, mentre, secondo la consolidata giurisprudenza di questo S.C., che deve trovare ulteriore conferma nel caso in esame, era suo specifico onere, per evitare la sanzione di inammissibilità, quello di indicare in quale atto del giudizio di primo grado, ed in quali termini, la questione era stata proposta, onde dar modo a questa corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione medesima.4) Con il sesto motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2967 c.c., art. 3 l. 392-1978, nonché motivazione insufficiente contraddittoria ed illogica in relazione all'art.360, nn. 3 e 5, c.p.c., assumendo che la sentenza impugnata era, in ogni caso, viziata laddove il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, aveva modificato uno degli elementi oggettivi dell'azione, dando luogo ad una pronuncia che sostanzialmente aveva mutato il petitum contenuto nella domanda.Sostiene, infatti, il ricorrente che la corte distrettuale aveva errato laddove aveva accolto la domanda di rilascio per finita locazione formulata dalla GE.CA. per una data diversa da quella individuata negli atti introduttivi e di gran lunga antecedente a quella indicata dalla locatrice. Sul punto, infatti, la società resistente aveva individuata come data di scadenza il 3 maggio 1998 e per tale data aveva inviato disdetta; al contrario il giudice di merito, individuando una presunta data di inizio della locazione anteriore al 1964, aveva determinato la scadenza del contratto alla data del 30 luglio 1996.La doglianza non ha pregio.In linea di principio, si osserva che il giudice non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato con la statuizione di rilascio di un immobile per una data diversa da quella indicata dall'attore ed individuata dal giudice medesimo in base all'esatto accertamento dell'epoca di inizio del rapporto di locazione. A ciò si aggiunga che, nella specie (come risulta dall'esame degli atti, consentito a questa corte, essendo stato dedotte un error in procedendo) la società locatrice, dopo avere indicato una data per il rilascio, si è, comunque, rimessa, per la concreta individuazione della stessa, alle determinazioni del giudice. da escludere, quindi, il dedotto vizio di ultrapetizione, mentre è appena il caso di aggiungere che la data di inizio del rapporto, fissata dalla corte distrettuale, per addivenire alla fissazione di quella di rilascio, risulta contestata in termini del tutto generici dal ricorrente.5) Con il settimo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1231 c.c., nonché degli artt. 27, 28, 29 della legge 392-1978, oltre che motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, il ricorrente deduce che, erroneamente, il giudice di merito aveva escluso l'intervenuta novazione del contratto di locazione, a decorrere dal gennaio 1996, per la radicale modifica di uno degli elementi del contratto, e cioè del canone di locazione, mentre doveva osservarsi che la sussistenza dell'animus novandi bene era desumibile anche dal cospicuo aumento del canone medesimo.La censura è infondata.Invero, come questa Corte Suprema ha più volte precisato, la novazione oggettiva del contratto di locazione va ravvisata nella sola ipotesi in cui le parti sostituiscono all'originaria obbligazione una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, sempre che risulti in modo non equivoco la volontà di estinguere la precedente obbligazione e di sostituirla con una nuova, mentre non può presumersi la novazione del contratto e la stipulazione di uno nuovo, sulla base della mera adesione del conduttore ad una proposta del locatore di un aumento di canone, laddove restino inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e manchi l'espressa manifestazione di una volontà innovativa.In ogni caso, va ulteriormente rilevato che l'accertamento della sussistenza della novazione di un'obbligazione e, quindi, della ricorrenza dei relativi elementi costitutivi, fra i quali l'animus novandi, si risolve in una quaestio voluntatis, consistente in un'indagine sull'individuazione e interpretazione della volontà negoziale, riservata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta, come nella specie, da motivazione adeguata ed immune da vizi logici ed errori giuridici.7) Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso proposto deve essere, in conclusione, rigettato, con conseguente condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. HYPERLINK l "PQMback"Inizio documento P.Q.M La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite di questa fase del giudizio, che liquida in complessivi 9.100,00 euro, di cui 100,00 per spese e 9.000,00 per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori come per legge.Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 22 settembre 2003. Nota Redazionale - In senso conforme cfr. Cass. 20 aprile 1995 n. 4477. Nota Redazionale - In senso conforme alla prima parte della massima, con riferimento ai fondi oggetto di contratti agrari, cfr.: Cass. 30 maggio 2003 n. 8778; Cass. 15 gennaio 2002 n. 381. Nota Redazionale - In senso sostanzialmente conforme cfr.: Cass. 15 gennaio 1997 n. 374; Cass. 10 maggio 1996 n. 4427." />
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Nº 1315 Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2003, n. 17913

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Oggetto: se l'adesione del conduttore alla richiesta di aumento del canone formulata dal locatore equivale a stipula di una nuova locazione.-

Oggetto: se l'adesione del conduttore alla richiesta di aumento del canone formulata dal locatore equivale a stipula di una nuova locazione.-

Autore STUDIO LEGALE ASSOCIATO D'ARAGONA
Data pubblicazione 29-11-2005
Data aggiornamento 02-07-2014
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