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Se il mancato rilascio della licenza di abitabilità di un immobile non costituisce ostacolo alla configurazione di un contratto di locazione
Locazione, licenza di abitabilità dell’immobile, mancanza, contratto di locazione
Cassazione civile , sez. III, sentenza 23.04.2008 n° 10593


 HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=2519" Locazione – licenza di abitabilità dell’immobile – mancanza – contratto di locazione – validità – sussistenza [ HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=37104" \l "art1575" art. 1575 e  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=37104" \l "art1578" art. 1578 c.c.]
Il mancato rilascio della licenza di abitabilità di un immobile non costituisce ostacolo alla configurazione di un contratto di locazione, salvo che il provvedimento amministrativo sia stato definitivamente negato.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 23 aprile 2008, n. 10593 Svolgimento del processo
Con ricorso 5 ottobre 1999 G.D. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina Franca, B.C..
Premesso che il 29 aprile 1999 aveva stipulato, con il B., contratto di locazione per uso abitativo avente ad oggetto un monolocale in Martina Franca per la durata di mesi 6 e per il canone mensile di L. 400 mila, che si erano manifestati fenomeni di umidità che avevano reso l'immobile inabitabile, che esso concludente aveva corrisposto il canone del caso solo al fine di evitare lo sfratto, ha chiesto fosse pronunziata la risoluzione del contratto inter partes con condanna di controparte alla restituzione dei canoni pagati.
Radicatosi il contraddittorio il B. ha resistito alla domanda avversaria, deducendone la infondatezza, facendo presente che l'attore aveva preso in locazione l'immobile dopo averlo visionato e tenuto presente che, comunque, essendo il contratto cessato per scadenza del termine finale previsto, non poteva pronunciarsene la risoluzione.
Svoltasi la istruttoria del caso, il Tribunale di Taranto sezione distaccata di Martina Franca con sentenza 4-5 marzo 2003 ha rigettato la domanda attrice. Gravata tale pronunzia dal soccombente G. la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, nel contraddittorio con il B. che, costituitosi in giudizio anche in grado di appello ha chiesto il rigetto dell'avversa impugnazione, con sentenza 6 febbraio - 11 marzo 2004 ha rigettato il proposto gravame, con condanna di parte appellante al pagamento delle spese del grado.
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 30 marzo 2004, ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi e illustrato da memoria, M.P..
Resiste, con controricorso, B.C..
Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Hanno evidenziato i giudici di secondo grado che "va anzitutto escluso che nella specie ricorra un inadempimento capace di produrre la risoluzione del contratto".
"I fenomeni di umidità messi in luce dalla documentazione fotografica allegata all'accertamento peritale di parte - hanno evidenziato quei giudici - non appaiono talmente gravi da pregiudicare il godimento dell'immobile. Da un lato, nell'accertamento preventivo, sono state individuate le cause di detti fenomeni ed ascritte al fatto che si tratta di macchie tipiche delle costruzioni vetuste in muratura con pareti in conci di tufo, non protette e a contatto con materiale eterogeneo: è fin troppo noto, per essere dato di comune esperienza, che fenomeni di umidità (dovuti ad esempio ad emissioni di salnitro eletto da particolare concio di tufo usato per costruzioni) sono pressochè fisiologici in tale tipo di costruzioni".
"Per altri versi - precisa la sentenza impugnata - non va sottaciuto che l'inadempimento va correlato alle particolari condizioni nelle quali il negozio si è protratto, per breve periodo, essendo la locazione maturata per soli sei mesi".
"Da un lato, di fatto il conduttore ha goduto dell'immobile abitandolo e corrispondendo il relativo canone; per altri versi è incontroverso che egli ne abbia preso visione prima che la locazione avesse inizio, trovando l'abitazione di proprio gradimento".
"Da ultimo - hanno concluso quei giudici - va evidenziato che la locazione ebbe breve durata e trovò vigenza durante il periodo estivo: cioè durante i mesi più caldi e meno piovosi dell'anno, con una minore certa incidenza sulle condizioni di abitabilità dell'immobile. Certo è che la locazione ebbe regolare svolgimento, r sicchè solo dopo la sua conclusione e la riconsegna del bene, fu attivata l'azione giudiziaria che per i detti motivi non può trovare accoglimento. Mette conto a questo punto dire che nessuna influenza può avere l'interpretazione dell'art. 1458 c.c. pure oggetto di dibattito tra le parti, posto che deve escludersi in radice qualunque inadempimento". 2. Con il primo motivo il ricorrente censura la trascritta sentenza, denunziando "nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonchè della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, art. 5, in relazione all'art. 3670 c.p.c., n. 4" atteso che esso ricorrente aveva, in primis, chiesto fosse accertato che il monolocale oggetto di controversia era inabitabile, a norma degli artt. 36 e 60 del regolamento comunale di igiene e che su tale domanda è mancata una espressa statuizione, ancorchè il responsabile medico della ASL di Martina Franca, Sevizio di Igiene e di Sanità pubblica, avesse dichiarato lo stesso inabitabile, con conseguente violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E., art. 5, che obbliga l'autorità giudiziaria a applicare, nel processo, i provvedimenti e i regolamenti della PA anche quando la Amministrazione non sia parte in causa.
3. Il motivo è inammissibile.
Sotto entrambi i profili in cui si articola.
3.1. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente (e senza alcuna giustificazione) prescinde la difesa del ricorrente, affinchè possa utilmente dedursi, in sede di legittimità, il vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o una eccezione autonomamente apprezzabili, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con la indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nel quale le une o le altre sono state proposte, onde consentire al giudice - per il principio dell'autosufficienza - di verificarne in primo luogo la ritualità e tempestività e in secondo luogo la decisività (Cass. 29 marzo 2007, n. 7783;
Infatti, pur configurando la violazione dell'art. 112 c.p.c. un error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del "fatto processuale", non essendo tale vizio rilevabile d'ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass. 17 gennaio 2007, n. 978).
Pacifico quanto precede è palese la inammissibilità della deduzione posto che il ricorrente si astiene, totalmente, dall'indicare in quale occasione - e nel rispetto del contraddittorio - in sede di merito abbia sollecitato un accertamento, con effetto di giudicato, quanto allo stato di "inabilità" dell'immobile preso in locazione.
Irrilevante, al fine di pervenire a una diversa conclusione è la circostanza che è in atti, nel fascicolo di parte ricorrente, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, come si invoca nella memoria ex art. 378 c.p.c..
Stante la regola della autosufficienza del ricorso per Cassazione, infatti, è palese in questa ultimo dovevano essere trascritte le domande come formulate in sede di merito, con indicazione puntuale dell'atto in cui tali domande, nel rispetto del principio del contraddittorio, erano state portate all'esame di quei giudici.
3.2. In secondo luogo, quanto alla denunziata violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E., art. 5, deve ribadirsi, ulteriormente, ancora una volta giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice - e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente - che nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 16 agosto 2004, n. 15950; Cass. 19 marzo 2004 n. 5561).
Contemporaneamente, non può tacersi che ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 26 febbraio 2007, n. 4381; Cass. 30 novembre 2006, n. 25546; Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 12 luglio 2005, n. 14599; Cass. 30 giugno 2005, n. 13970; Cass. 5 aprile 2004, n. 6656, tra le tantissime).
Poichè nella specie il problema della "rilevanza" ai fini del decidere del certificato 18 settembre 1999 del responsabile medico della ASL non è in alcun modo affrontato dalla sentenza gravata è di palmare evidenza che il ricorrente non poteva limitarsi, in questa sede, a invocare l'esistenza in atti di un tale documento, ma doveva precisare, in concreto, in quale atto, del giudizio di primo e poi in quello di secondo grado, era stata trattata la questione specifica.
4. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia, "nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 6, nonchè dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, il tutto in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4", per essere la sentenza impugnata priva di motivazione quanto al difetto di abitabilità del monolocale". 5. Il motivo, per alcuni aspetti è inammissibile, per altri manifestamente infondato.
5.1. In primo luogo, come già osservato sopra, sussisteva l'onere, per il giudice, di motivare la propria decisione esclusivamente in margine alle questioni espressamente dedotte dalle parti.
Non risultando, dal ricorso, la espressa deduzione, da parte dell'odierno ricorrente, che la propria domanda doveva essere accolta sulla base del documento di cui al precedente motivo, è palese che non vi è stata nella specie omessa motivazione.
5.2. In secondo luogo non risponde affatto al vero che i giudici del merito abbiano posto a base della loro decisione una motivazione meramente apparente, avendo, gli stessi, valorizzato una serie di circostanze di fatto, rimaste accertate in esito al giudizio, assolutamente incompatibili con gli assunti dell'appellante e con la esistenza di pericoli di sorta, per la sua salute a occupare l'immobile liberamente scelto dopo averlo visitato (e, in particolare, la circostanza, da un lato, che i vizi denunziati non sussistevano, alla luce delle documentazione allegata o comunque non erano tali da impedire il godimento dell'immobile, dall'altro, che il G. ha utilizzato l'immobile per tutto il tempo previsto, corrispondendo il canone del caso, da ultimo che lo che lo stesso ha occupato l'immobile nei mesi più caldi dell'anno, in cui l'umidità è naturalmente minore o assente ed ha iniziato il giudizio solo dopo la riconsegna del bene).
5.3. Il tutto a prescindere, comunque, dalla manifesta infondatezza della deduzione, altro sotto altro, concorrente, profilo.
Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, in particolare il mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni immobili - ovvero alla abitabilità dei medesimi - e, quindi, anche la sopravvenuta loro revoca non è di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del conduttore, concreta utilizzazione del bene.
Esclusivamente nella ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d'uso convenuta sia stato definitivamente negato al conduttore è riconosciuta la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto (Cass. 21 dicembre 2004, n. 23695;...

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