Loading…
QUESITO N.093 Se il convivente more uxorio, che ha contribuito economicamente all'acquisto di un immobile intestato all'altro convivente può agire contro gli eredi legittimi di quest'ultimo per ottenere la restituzione delle somme.
QUESITO
Se il convivente more uxorio subentra, in seguito alla successione ereditaria legittima dell'altro, nel diritto di proprietà, di cui era titolare il de cuius, su un immobile acquistato con i contributi economici di entrambi.
Se il convivente more uxorio, che ha contribuito economicamente all'acquisto di un immobile intestato esclusivamente all'altro convivente può agire contro gli eredi legittimi di quest'ultimo per ottenere la restituzione delle somme impiegate per l'acquisto del bene.
FATTO
Nel 1992, due soggetti uniti in una convivenza more uxorio acquistano un immobile. Il bene viene intestato alla sola convivente donna. Nel contempo, viene contratto un mutuo per l'acquisto dell'immobile, ma, anche in questo caso. mutuatario risulta solo la donna. Al pagamento del mutuo, contribuisce, però, anche l'altro convivente.
Nel 2001, la convivente donna muore senza lasciare testamento e le succedono le due figlie regolarmente riconosciute anche dal compagno.
PREMESSE NORMATIVE
L'istituto che viene in rilievo nella fattispecie sottoposta alla nostra attenzione è quello della convivenza more uxorio (o convivenza di fatto), con particolare riguardo ai rapporti patrimoniali tra i conviventi.
Prima di passare all'esame del caso di specie, appare opportuno tentare una ricostruzione giuridica dell'istituto coinvolto.
Della rilevanza giuridica della famiglia di fatto
L'art. 29 della Costituzione stabilisce che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Ciò esprime non soltanto un certo grado di privilegio assicurato alla famiglia legittima, ma anche il riconoscimento del fatto che nella realtà sociale la famiglia legittima costituisce il modello di qualsiasi relazione di tipo familiare.
Nell'esperienza recente, tuttavia, questo stretto rapporto tra famiglia e matrimonio è andato via via allentandosi e frantumandosi in molteplici realtà, cosicché si assiste alla formazione di diversi "tipi" di famiglia sotto vari aspetti difformi dal modello istituzionale.
Tra questi, per la rilevanza sociale che ormai ha acquistato, si segnala la famiglia di fatto, vale a dire la convivenza di un uomo e di una donna non uniti dal vincolo matrimoniale.
Mentre il Codice Civile da sempre considera i rapporti tra genitori e figli nati fuori dal matrimonio - rapporti che. nella disciplina attuale, si ispirano all'esigenza di una parità pressoché completa tra filiazione legittima e naturale - sarebbe vano cercare nella Costituzione, nel Codice Civile e nelle leggi speciali una espressa disciplina della convivenza more uxorio.
Ne la disciplina dettata per la famiglia legittima è applicabile per analogia a quella di fatto, a causa della diversità strutturale dei due istituti: la famiglia di fatto prescinde dal matrimonio che, al contrario, rappresenta l'atto costitutivo della famiglia legittima.
È all'opera della dottrina e della giurisprudenza che si deve. perciò, l'elaborazione di principi e regole che valgano a risolvere i numerosi problemi della famiglia di fatto.
Ultimamente, tuttavia, si sollecita un intervento del legislatore che ponga mano ad una regolamentazione essenziale della famiglia di fatto.
Per un'intera fase storica è stato dominante un atteggiamento di pregiudiziale chiusura nei confronti di un fenomeno di tale rilevanza, qual è la famiglia di fatto.
Nel corso degli anni si è, poi, sentita l'esigenza di individuare i principi su cui fondare il "riconoscimento" della famiglia di fatto da parte dell'ordinamento, di passare cioè dalla sua discriminazione alla sua tutela in quanto formazione sociale in cui si svolge la personalità umana.
Gli orientamenti più recenti, in accoglimento delle numerose decisioni della Corte Costituzionale, hanno ormai precisato che l'art. 29 Cost. non costituisce ostacolo alla rilevanza giuridica della famiglia di fatto, avendo il Costituente espresso soltanto una scelta preferenziale per la famiglia fondata sul matrimonio, alla quale è riconosciuta una dignità superiore in ragione dei caratteri di stabilità, certezza, corrispettività di diritti e doveri che caratterizzano il vincolo familiare.
Inoltre, la tutela della famiglia di fatto può essere rinvenuta nell'alt. 2 Cost. che protegge ogni formazione sociale in quanto effettivamente capace di corrispondere alle esigenze di crescita ed affermazione personale, di soddisfacimento dei bisogni spirituali e materiali delle persone che la compongono.
Dei rapporti personali tra conviventi
Fra i conviventi di fatto non esistono, come esistono invece fra i coniugi, i diritti ed i doveri reciproci sanciti dagli artt. 143 ss. C.c.-
Pertanto, coabitazione, fedeltà, assistenza morale e materiale, contribuzione ai bisogni della famiglia che, nell'ambito della vita matrimoniale, costituiscono oggetto di "obblighi" tra i coniugi, nella famiglia di fatto sono espressione, invece, della libertà personale dei conviventi che spontaneamente tengono comportamenti coerenti con le esigenze della comunità familiare.
Infatti, la coppia che non legalizza la propria unione esercita una libertà che la sottrae al complesso di impegni e diritti che caratterizzano l'unione solennizzata dal matrimonio.
Pertanto, nella convivenza di fatto coabitazione, fedeltà e assistenza non necessariamente debbono assumere lo stesso contenuto degli obblighi coniugali, essendo certamente più ampio lo spazio di autonomia riservato ai partners nell'ambito di un'unione non formalizzata.
Dei rapporti patrimoniali tra conviventi
Maggiore complessità ha assunto il problema dei rapporti patrimoniali tra i conviventi di fatto.
Per effetto della comunione legale, gli acquisti compiuti dai coniugi durante il matrimonio appartengono ad entrambi: nulla di simile esiste per la coppia convivente. Qualsiasi acquisto effettuato da ciascuno dei conviventi passerà nella proprietà esclusiva di colui che lo ha effettuato, senza che l'altro possa rivendicare alcun diritto in tal senso.
Quando la convivenza viene meno - sia per iniziativa unilaterale o consensuale, sia per morte di uno di essi - potrà essere rilevante stabilire un assetto dei rapporti patrimoniali tra i conviventi che eviti ingiustificati arricchimenti dell'uno per effetto di apporti patrimoniali compiuti dall'altro a suo favore.
Con riguardo ai contributi necessari al soddisfacimento delle comuni esigenze di vita, alle prestazioni che rientrano nella nozione di assistenza materiale, la Giurisprudenza è solita ricorrere al regime dell'obbligazione naturale, regolata dall'ari. 2034 C.c..
Nel presupposto che quanto prestato da un convivente a favore dell'altro o a vantaggio del ménage comune trovi la propria giustificazione nell'adempimento di un dovere di natura morale o sociale, ne viene affermata l'irripetibilità secondo il disposto della suddetta norma.
Questo recente orientamento, che pone l'accento sull'esistenza di un obbligo, sia pure di natura semplicemente morale e sociale, costituisce l'esito di una significativa inversione di tendenza che la Suprema Corte compie intorno agli anni sessanta, abbandonando il proprio precedente orientamento che la portava, invece, a qualificare come "donazioni remuneratorie" tali attribuzioni.
In tal modo si poneva l'accento sullo "spirito di liberalità" del donante, mentre il carattere remuneratorio della donazione nasceva dall'esigenza di compensare la "concubina" della perdita dell'onore e del pregiudizio derivatele dalla convivenza more uxorio.
Successivamente, la Suprema Corte poneva, invece, l'accento sull'esistenza di un vero e proprio obbligo di natura morale e sociale di contribuire al mantenimento della convivente o di compiere attribuzioni patrimoniali durante la convivenza per assicurarle una certa tranquillità economica.
In un primo tempo, il fondamento di tale obbligo morale e sociale era individuato nell'esigenza di compensare la donna dagli eventuali pregiudizi di ordine economico derivanti dal fatto di aver rinunciato ad altre prospettive o di essersi preclusa una diversa sistemazione. Da questa concezione, per così dire indennitaria, dell'obbligazione naturale, si è, poi, passati ad un'altra di tipo solidaristico, che pone l'accento sull'affidamento, sulla stabilità di una situazione futura che nasce dal semplice dar vita ad una convivenza more uxorio.
Naturalmente, anche tra conviventi possono darsi vere e proprie attribuzioni liberali in quanto sorrette da un esclusivo animus donandi. Così come possono intercorrere delle donazioni indirette, che consistono in liberalità non direttamente volute ed attuate attraverso il mezzo appositamente apprestato dall'ordinamento giuridico, bensì realizzate attraverso un altro strumento giuridico caratterizzato da uno scopo tipico diverso dalla liberalità, di cui quest'ultima costituisce una conseguenza secondaria ed ulteriore dell'atto compiuto.
I.a Suprema Corte argomenta in proposito come l'indagine che il giudice deve compiere per accertare se si trova di fronte ad una obbligazione naturale o meno sia duplice.
Da un alto, infatti, egli deve accertare se nel caso sottoposto al suo esame sussiste un dovere morale o sociale in relazione alla valutazione corrente nella società attuale; dall'altro, se questo dovere sia stato adempiuto con una prestazione che presenti un carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso.
In particolare, è stato affermato dalla Suprema Corte che nel rapporto di convivenza more uxorio integra l'adempimento di una obbligazione naturale, non soltanto l'assistenza morale od affettiva prestata da uno dei soggetti in favore dell'altro, ma anche l'esborso di somme effettuato da ciascuno dei conviventi (non importa se uomo o donna), al fine di sopperire a singole necessità del compagno, purché possa riscontrarsi un rapporto di proporzionalità tra le somme versate ed i doveri sociali e morali, assunti reciprocamente dai conviventi.
Pertanto, laddove le attribuzioni patrimoniali tra i conviventi integrino l'adempimento di un'obbligazione naturale, troverà applicazione il principio della soluti retentio, secondo il quale quanto versato a titolo di obbligazione naturale non può essere ripetuto.
È noto che quando un unico negozio è caratterizzato da un concorso di motivi di natura in parte onerosa ed in parte gratuita, la sua regolamentazione obbedisce al criterio della prevalenza, nel senso che ricorre la donazione (che esige la forma solenne) quando risulti la prevalenza dell'animus donandi; laddove si avrà adempimento di un'obbligazione naturale quando l'attribuzione patrimoniale venga effettuata in osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali, che si riveli assorbente rispetto all’animus donandi.
La linea di confine, pertanto, non può che porsi in termini di proporzionalità tra il valore delle attribuzioni patrimoniali ed i doveri morali e sociali assunti dai conviventi.
Ma ci si chiede quale sia la conclusione quando ci si trova di fronte ad attribuzioni economiche di rilevante importo.
In particolare si fa il caso in cui uno dei conviventi contribuisce economicamente agli acquisti di beni effettuati dall'altro convivente ed a questi intestati.
Tali prestazioni determinano un arricchimento in capo a chi le riceve che si traduce nell’acquisto da parte del beneficiario di uno o più determinati beni. Pensiamo, per esempio, alla consegna di una somma di denaro o al pagamento, anche parziale, del prezzo di acquisto di un bene.
In questi casi si ritiene anche in dottrina che laddove il vantaggio attribuito da una parte all'altra esorbiti dai limiti di una normale contribuzione, si esuli dallo schema dell’obbligazione...

... continua
La versione completa è consultabile sul sito mediante registrazione