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QUESITO N. 87: Se in caso di vendita di un immobile oggetto di condono nel 94 con pagamento di oneri ridotti, sia dovuta la differenza dell'oblazione corrisposta da parte di chi non poteva godere di tali benefici
ciale.

RIFERIMENTI LEGISLATIVI E GIURISPRUDENZIALI

Nell’affrontare il caso in esame, è d’uopo partire dalle disposizioni dell’art. 39 (definizione agevolata delle violazioni edilizie), Legge 23 dicembre 1994, n. 724 -Misure di razionalizzazione della finanza pubblica-.
I comma 13° e seguenti dell’art. 39 di tale legge stabiliscono, in materia di condono edilizio, un’oblazione ridotta per favorire l’abitazione principale.
Contemporaneamente, peraltro, apposita norma (comma 15°) prevede che se l’immobile sanato sia trasferito, con atto inter vivos a titolo oneroso, a terzi entro i dieci anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 724 (legge entrata in vigore il 1° gennaio 1995), occorre versare la differenza tra l’oblazione ridotta e l’oblazione normalmente dovuta.
Questo il testo delle norme richiamate:
“Per le opere realizzate al fine di ovviare a situazioni di estremo disagio abitativo, la misura dell’oblazione è ridotta percentualmente in relazione ai limiti, alla tipologia del reddito ed all’ubicazione delle stesse opere secondo quanto previsto della tabella D allegata alla presente legge” (comma 13°).
“Per l’applicazione della riduzione dell’oblazione è in ogni caso richiesto che l’opera abusiva risulti adibita ad abitazione principale del possessore dell’immobile o di altro componente del nucleo familiare in relazione di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo grado, e che vi sia convivenza da almeno due anni; è necessario inoltre che le opere abusive risultino di consistenza non superiore a quella indicata al comma 1 del presente articolo.
La riduzione dell’oblazione non si applica nel caso di presentazione di più di una richiesta di sanatoria da parte dello stesso soggetto” (comma 14°).
“Ove l’immobile sanato venga trasferito, con atto inter vivos a titolo oneroso a terzi, entro dieci anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, è dovuta la differenza tra l’oblazione corrisposta in misura ridotta e l’oblazione come determinata ai sensi dell’art. 3, maggiorata degli interessi nella misura legale. La ricevuta del versamento della somma eccedente deve essere allegata a pena di nullità all’atto di trasferimento dell’immobile” (comma 15°, ultima parte).
Scopo dell’agevolazione è quello di assecondare le esigenze di prima abitazione e, ad evitare che lo scopo per il quale è stata concessa l’agevolazione sia immediatamente tradito con la cessione dell’abitazione stessa, la legge impone sostanzialmente un periodo di collegamento tra l’appartamento sanato e colui che ha goduto dell’agevolazione. Se ciò non accade, essa si preoccupa di recuperare lo sconto agevolativo acquisito, stabilendo che il recupero deve avvenire se l’appartamento sia ceduto a terzi, pena la nullità dell’atto di trasferimento posto in essere.
Sono sorti vari problemi sull’interpretazione di questa norma agevolativa, o meglio sono sorti vari problemi sul concetto di “terzo” che impone al notaio di valutare se la norma sia applicata, ad evitare la nullità dell’atto traslativo. Può in ogni caso ritenersi non “terzo” un familiare di colui che abbia condonato e quindi ritenere che qualunque atto di trasferimento tra i familiari entro il grado previsto dall’art. 39 comma 14° della legge 724 non dia luogo a negozio giuridico a favore terzi ?
Per risolvere questo problema è indispensabile individuare il concetto di “terzo” che fa nascere l’obbligo di corrispondere la parte di oblazione non versata, pena la nullità.
Terzo è colui che è estraneo alla vicenda agevolativa, perché la parola “terzo” presuppone estraneità ad un fatto da individuare. Tutta l’attenzione va pertanto concentrata sull’esatta catalogazione delle fattispecie che danno luogo all’agevolazione in discorso, per dedurne che sia terzo colui che non sia stato protagonista della fattispecie agevolativa stessa.

L’espressione della fattispecie agevolativa può essere così sintetizzata:

l’opera principale deve risultare adibita ad abitazione principale di un soggetto;
il soggetto che può usufruire deve essere possessore dell’immobile, oppure familiare entro il terzo grado o affine entro il secondo grado, purchè con il possessore vi sia convivenza da almeno due anni;
la riduzione dell’oblazione spetta per una sola richiesta di sanatoria.

Per quanto riguarda il rapporto del soggetto con il bene abusivo, la legge stabilisce tale rapporto con la parola “possesso”. Chi ha diritto all’agevolazione deve possedere il bene. Cosa significa questo? È risaputo che il termine possesso include tutti i rapporti di fatto con il bene che abbiano come punto di riferimento la proprietà oppure un diritto reale limitato (ex art. 1140 c.c.). Certamente pertanto rientrano nella norma, oltre ai proprietari, anche agli usufruttuari, i nudi proprietari, i titolari di un diritto di abitazione, gli enfiteuti.
Vi è da chiedersi se possano usufruire dell’agevolazione i titolari di un rapporto di detenzione, ancorché qualificato, come il rapporto di locazione. Alla domanda potrebbe rispondersi affermativamente sulla base del rilievo che se il locatario abbia realizzato un abuso nell’alloggio locato; se egli, in quanto interessato, può presentare domanda di condono; infine se non può negarsi che l’alloggio locato costituisca per lui prima abitazione; per tutti questi motivi non gli possa essere preclusa l’eventualità di usufruire dell’oblazione ridotta per abuso di necessità.
Non sembra in contrasto con detta conclusione il rilievo che la legge prevede che un soggetto possa godere dell’agevolazione una sola volta, sul presupposto logico che non è possibile che un soggetto abbia più d’una abitazione principale. Ancorché l’espressione “possessore” possa interpretarsi come prevista per creare un rapporto di fatto così qualificato tra un soggetto e l’alloggio, da impedire il pericolo che un soggetto usufruisca più volte dell’agevolazione, sembra sufficiente ostacolo a tale evenienza la norma per cui l’agevolazione non può essere concessa più volte a favore dello stesso soggetto neppure per una pluralità di richieste di sanatoria presentate dallo stesso soggetto.
Si ritiene pertanto di affermare che il termine “possessore” sia stato previsto dal legislatore non in senso tecnico-giuridico, cioè nel significato codicistico, ma come espressione intesa ad individuare un soggetto diverso dal titolare del diritto, in linea del resto con la norma per cui l’istanza di condono può essere presentata da chiunque vi abbia interesse.
In conclusione, si può affermare che abbia diritto a godere dell’agevolazione chiunque si trovi in un rapporto di effettiva abitazione con il bene, a qualunque titolo ciò avvenga (proprietà, titolarità di un diritto reale limitato, possesso in senso stretto, detenzione), o comunque connessa ad un interesse che ne legittima la richiesta di connessione.
Vediamo cosa intende la legge per abitazione principale. Con tale espressione il nostro legislatore ha stabilito che l’agevolazione spetta per l’abitazione principale del possessore o di un familiare con lui convivente da almeno due anni. La duplice fattispecie ha una propria giustificazione. In primo luogo si prende in considerazione la posizione del possessore dell’alloggio: è questi che deve abitare nell’unità nella quale è stato realizzato l’abuso. Infatti la legge utilizza l’espressione “risulti adibita ad abitazione principale”, il che significa che nel momento in cui si attiva il procedimento di sanatoria l’abuso deve riguardare alloggio già abitato dal soggetto che gode dell’agevolazione in discorso.
C’è da chiedersi se sia consentito, al di là del tenore letterale della norma, far rientrare in questa anche l’ipotesi che si tratti di violazione edilizia posta in essere in alloggio non ancora abitato, ma che la sanatoria sia propria chiesta in previsione della futura abitazione dell’alloggio stesso da parte di colui che ha realizzato l’abuso edilizio. La risposta non può essere che affermativa, perché non vi è motivo per trattare diversamente l’ipotesi della effettiva abitazione dell’alloggio abusivo da quella della futura utilizzabilità di esso. Tanto più che l’espressione “adibita ad abitazione” si presta ad essere interpretata sia nel senso di effettiva abitazione, sia nel senso di destinazione fin d’ora del bene a prima abitazione futura. Si supponga il caso di un soggetto che, scrupoloso, pur avendo realizzato un manufatto abusivo, attenda, per abitarlo, di impostare il procedimento di sanatoria: non vi è alcun motivo per trattare questo soggetto in modo più drastico rispetto a colui che abbia realizzato l’abuso edilizio e si sia installato nell’abitazione senza attendere di instaurare la procedura di condono.
Appurato che non sia indispensabile abitare effettivamente l’alloggio in cui è stato realizzato l’abuso, si tratta di individuare il concetto di “abitazione principale”. Esso significa che deve trattarsi di prima casa, cioè di abitazione concretamente utilizzata come prima casa, con esclusione pertanto di tutte le seconde case, siano esse ubicate in luoghi di villeggiatura, oppure nello stesso o in altro comune.
La legge ha inteso favorire l’abuso di necessità, cioè realizzato per dotarsi di prima abitazione, oppure realizzato in alloggio abitato dal soggetto con rapporto possessorio.
La norma privilegia l’utilizzazione come prima casa di colui che la possiede; in alternativa, favorisce anche l’ipotesi che la prima abitazione concerna non il possessore, ma un parente (nei gradi previsti) del possessore stesso. Si vuole, in altre parole, favorire non solo colui che possieda l’alloggio come prima casa, ma anche colui che, pur non possedendola, di fatto la utilizzi come prima casa, usufruendone come parente del titolare del vero possessore. Per dare un significato alla fattispecie normativa occorre precisare che la presenza del parente, non possessore, si giustifica perché è egli che utilizza il manufatto abusivo come prima casa ancorché non ne abbia il possesso.
Questa norma conforta ulteriormente la soluzione data più sopra sull’esigenza che il beneficiario sia, in linea di principio, possessore del manufatto; infatti la fattispecie del parente presuppone che questi, pur abitando l’alloggio (di qui l’esigenza che avvenga con riferimento a lui la valutazione che si tratti di prima casa), non ne sia possessore. L’avere favorito in tal caso il parente non possessore, dimostra che intendo del legislatore è stato quello di favorire in linea di principio chi abbia un rapporto abitativo con la costruzione.
Per quanto riguarda il momento dell’agevolazione con concetto di “terzo”, per stabilire se spetti la riduzione occorre tener conto del momento che occorre possedere tutte le caratteristiche che consentono l’agevolazione: in tale momento occorre essere possessori oppure parenti entro i gradi previsti dalla norma (e conviventi) con il possessore dell’immobile sanato e adibito (o da adibire) a prima abitazione.
Impostata la pratica di condono ed ottenuta l’agevolazione per autocertificazione, tale momento deve rappresentare la base di valutazione per stabilire chi sia terzo e chi non lo sia. Evidentemente sono terzi tutti coloro che non hanno presentato domanda di condono, oppure non siano parenti a vantaggio dei quali è stata presentata domanda di condono. Il discorso è consequenziale: se determinati soggetti hanno ricevuto un beneficio, sono terzi tutti coloro che non abbiano ricevuto lo stesso beneficio.
E qui una prima riflessione: occorre accertarsi se i soggetti che hanno ricevuto l’agevolazione ne avessero diritto?
Certamente no, perché la legge ritiene ormai chiusa la fattispecie dell’agevolazione, preoccupandosi di tracciare una barriera insormontabile soltanto per coloro che si disfino della casa di abitazione cedendola, in ciò dimostrando di non aver esigenze abitative che hanno giustificato l’agevolazione. La procedura di agevolazione attinente al condono edilizio ne seguirà le sorti, alla stessa stregua di tutti i possibili vizi del procedimento stesso. Che l’abuso sia stato realizzato oltre o entro i termini di legge, che la tipologia di abuso si sia stata correttamente individuata o meno, che la misura dell’oblazione si stata calcolata o meno in modo congruo, infine che si avesse o meno diritto all’applicazione dell’agevolazione per l’abuso di necessità, sono tutte circostanze che non incidono sulla norma in discorso, la quale ha una sola preoccupazione, che colui che ha goduto dell’agevolazione la perda se l’acquisto oneroso del manufatto abusivo avvenga a favore di terzi.
Una seconda riflessione attiene al problema se nella fattispecie in discorso sia rilevante lo stesso grado di abusivismo che inerisce ai prob...

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