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QUESITO N. 269: Se il promittente acquirente di un immobile, al fine di tutelarsi in caso di fallimento del promittente alienante, deve specificare nel preliminare trascritto,la sua intenzione di adibire l'immobile a sua abitazione principale.-
Quesito n. 269: Se Il promittente acquirente di un immobile residenziale deve esplicitamente specificare, nel contratto preliminare trascritto, la sua intenzione di adibire il detto immobile a sua abitazione principale, al fine di meglio tutelarsi dal rischio di perdere le somme anticipate nel caso in cui il promittente alienante fallisca prima della stipula del rogito notarile?

Una esauriente risposta al quesito in esame non può prescindere da una (sia pur celere) analisi di due recenti interventi normativi, accomunati, nel loro complesso, dall’obiettivo di tutelare gli investimenti dei (piccoli) risparmiatori privati, e, più in particolare, di attuare in concreto il diritto di ciascuno di assicurare a sé ed alla propria famiglia la proprietà dell’immobile abitativo.-
Così, il d. lgs. 14 marzo 2005 n. 35, cosiddetto "Decreto Legge competitività", poi convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80, del quale conviene subito trattare anche per la sua immediata attinenza alla questione sottopostaci, ha novellato in guisa significativa la Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).-
Per quel che qui più interessa, il Legislatore ha apportato rilevanti modifiche in seno all’istituto della azione revocatoria fallimentare, la quale, disciplinata dalla sezione III, artt. 64 e ss. della legge fallimentare, è lo strumento cardine al fine di procedere alla ricostruzione del patrimonio del debitore-fallito, ossia il c.d. attivo fallimentare, facendo confluire in esso non solo i beni appartenenti al fallito al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche quelli ch’egli abbia precedentemente alienato in frode della par condicio creditorum.-
Ebbene, il Legislatore, con la citata novella, ha disposto l’esenzione dalla assoggettabilità alla azione revocatoria di alcuni negozi posti in essere dall’imprenditore poi fallito, indipendentemente dal periodo in cui sono stati compiuti e dalla buona fede della controparte, ritenendo in tal modo prevalente l’interesse delle parti - ed in particolare della parte acquirente - al mantenimento in vita del negozio, sull’interesse del ceto creditorio di vederne caducare gli effetti nei propri confronti.-
Così, al punto c) del terzo comma dell’art. 67 L.F. si legge esplicitamente che “non sono soggetti all’azione revocatoria… le vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado”.-
Essendo tale norma talmente recente, da non esser stata ancora corredata, come pur invece necessiterebbe, di un solido sostrato interpretativo giurisprudenziale, è ad oggi unicamente possibile far riferimento alle opinioni dottrinali già elaborate al riguardo, le quali comunque assicurano un elevato grado di attendibilità, tale che è difficile ipotizzarne futuri stravolgimenti nelle future esegesi dei pratici del diritto (v. per tutti: Consiglio nazionale del notariato Studio n. 6112/I, reperibile per qualche tempo sul sito internet: www.notariato.it).-
Ciò premesso, con riferimento alla questione in esame una approfondita analisi della norma sarebbe comunque inutile, giacchè essa risulta del tutto inconferente.-
È sufficiente infatti sottolineare che il punto c) del terzo comma dell’art. 67 L.F. si riferisce esclusivamente alle “vendite”.-
Va al riguardo precisato che la citata dottrina, nell’interrogarsi sulla portata ermeneutica da ascrivere ad un siffatto termine, tra le due opzioni possibili, ossia tra una interpretazione estensiva, tale da diluire il concetto di “vendita” fino a farlo coincidere con qualsiasi atto a titolo oneroso che abbia come effetto il trasferimento dell’immobile, ed una interpretazione, invece, letterale e restrittiva, tale da riferirsi esclusivamente alle vendite in senso stretto, è decisamente orientata verso quest’ultima, in considerazione, tra l’altro, del carattere di specialità della norma derivante dal regime di favore che dispone.-
È di lapalissiana evidenza, dunque, che il promittente acquirente in un contratto preliminare (ancorché trascritto) non potrà beneficiare della tutela privilegiata apprestata dalla norma testè tratteggiata, poiché la vendita non è si è ancora perfezionata.-
Il secondo degli interventi normativi cui si accennava in precedenza, cioè il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, che si intende qui esaminare per mera completezza espositiva, appresta invece una peculiare tutela al promittente acquirente, ma in una specifica ipotesi, ossia quando il contratto preliminare ha ad oggetto (la compravendita di) un immobile ancora da costruire.-
Più in particolare, tale atto normativo ascrive una serie di obblighi al promettente alienante, tutti a garanzia dell’acquirente, subordinandoli però a presupposti ben determin...

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