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Breve commento al
Decreto Bersani bis: l’altra tappa verso la modernizzazione del sistema paese
Articolo di  HYPERLINK "http://www.altalex.com/?idstr=85&idu=6324" Alessandro Del Dotto 02.02.2007


Decreto Bersani bis: l’altra tappa verso la modernizzazione del sistema paese ovvero, delle ragioni e del significato attribuibile alle c.d. liberalizzazioni
(Primo commento al  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=35934" Decreto Legge n. 7 del 31.01.2007)
di  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idstr=85&idu=6324" Alessandro Del Dotto
Sommario: 1. Premessa - 2. La sostanza “giuridico politica” e i presupposti storici del decreto Bersani. - 3. Linee per una nuova politica socio-economica.
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1. Premessa.
Che il nostro paese avesse bisogno di rinnovare le proprie strutture, era cosa nota sicuramente da almeno dieci lustri.
Ma che bisognasse attendere l’uscita di scena di un governo asseritamente “liberal-conservatore” (tradizionalmente indicata quale tipologia di politica più propensa alla liberalizzazione e alla dismissione del ruolo centrale dello Stato, prima di tutto nell’economia e poi anche nelle strutture sociali) e l’ingresso di un governo additato come “social-progressista” (storicamente inserito in quel filone politico caratterizzato da linee programmatiche volte non alla liberalizzazione ma, prima di tutto, al rafforzamento del ruolo dello Stato sia nelle strutture sociali che nell’economia) per veder cambiare la storia del tessuto socio economico del nostro paese – confesso (ironicamente) – non lo avrei mai giurato.
Una siffatta premessa – il lettore avveduto avrà colto il “nocciolo” – non deve fraintendersi, ovverosia, non appare allo scrivente possibile sostenere che vi sia stato (o sia in atto) un’inversione di ruoli, di idee politiche o di programmi fra i due (fluidi e opposti) schieramenti: il punto di partenza di questo ragionamento, cioè, non può essere costituito dagli (ormai obsoleti) schemi storici della destra e della sinistra. Ben altra, invero, è la sostanza dell’attuale riflessione.
2. La sostanza “giuridico politica” e i presupposti storici del decreto Bersani.
Come già in altra sede (e, tuttavia, simile occasione) si è avuto modo di apprezzare (in tal senso, E. Spanedda – A. Del Dotto,  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=34418" Decreto Bersani: una riforma strutturale in ritardo di sessant’anni, in questa Rivista, 8 luglio 2006), le riforme strutturali ovvero l’attività politica del governo e del parlamento espresse soprattutto attraverso l’attività legislativa ed amministrativa indirizzate ai gangli vitali del sistema paese (i.e.: status professionali, regole di accesso all’attività e al mercato, posizione del consumatore, tutela dei socialmente più deboli), sono rimaste nel cassetto (se, invero, addirittura ci sono mai state), mentre politici dell’uno e dell’altro schieramento hanno per anni accuratamente evitato (o, ad essere meno sottili, sono riusciti ad evitare) di metter mano all’avvenuta cristallizzazione di posizioni soggettive c.d. “di rendita”, il cui rimaneggiamento (e, soprattutto, la cui eliminazione) avrebbe comportato un’emorragia di consenso, letale per governi di coalizione in un sistema elettorale che estremizzava i protagonismi e i particolarismi partitici.
Ora, è vero che il sistema istituzionale italiano ha riportato indietro le lancette del sistema a circa 50 anni fa (parlo della legge elettorale e della sostanza del ruolo del potere esecutivo nel nostro ordinamento giuridico a seguito della riforma elettorale meglio conosciuta come “Porcata” – denominazione brillantemente coniata dall’on. e allora Ministro per le riforme e di essa, peraltro, fra i promotori, Roberto Calderoli); ciò nonostante c’è qualcosa di diverso se è vero che quello attuale appare – per le manifeste difficoltà interne – un governo non dissimile dallo Spadolini o dalla “cascata” di Andreotti che si sono succeduti, vuoi per composizione istituzionale (e non politica: intendo l’elevato numero di partiti), vuoi per rapporti di forza (proporzioni elettorali).
Tuttavia, esso appare assai diverso per incisività (in taluni casi solo “in potenza” e non ancora “in atto”: sul punto si dirà infra).
Ebbene, se da un lato, infatti, il punto fermo del “sistema delle coalizioni” e degli sbarramenti attenua i devastanti effetti che la “Porcata” avrebbe potuto agevolmente sortire sul nostro sistema politico (per non parlare di quello istituzionale) in direzione della “riframmentazione” (o meglio, di “riframmentazione” si potrebbe parlare se ci fosse stata una fase “di fusioni”, che – a parte sporadici episodi – non c’è mai stata; rectius, dunque, parlare di “ultraframmentazione”) del panorama delle forze politiche, facendoci correre il rischio di inasprire la corsa al protagonismo dei leaders ancor prima che al ben noto fenomeno della “partitocrazia”, è anche vero che tutto ciò non si sta verificando, o almeno non si verifica in “dosi letali” per la sopravvivenza del governo.
È opportuno, dunque, spiegarsi meglio; quella del decreto in commento, appare – del resto – occasione esemplificativa di alto valore.
Ebbene, la partenza (senza, invero, alte pretese) “politologica” non deve tradire un intento ben diverso, che – in aggiunta – intende prendere le mosse da un triplice ordine di constatazioni sulla genesi delle riforme varate dal Ministro per lo Sviluppo Economico (come si dirà, strettamente interdipendenti): (1) la crisi del sistema economico mondiale e nazionale, culminata negli ultimi 8 anni; (2) l’istinto di conservazione e sopravvivenza delle strutture e categorie socio economiche nazionali; (3) la “favola dei lacci e laccioli comunitari” (per dirla con le parole dell’ultimo ex Presidente del Consiglio) e l’ipertrofia legislativa nel caso italiano.
Quanto al primo punto (1), è noto e riconosciuto che la crisi economica che ha attraversato il mondo non è direttamente collegabile ai tragici eventi del settembre 2001, ma abbia dato i primi vistosi segnali già nel 1999 (ad esempio: progressivo incremento dei prezzi delle materie prime; inflazione strisciante; finanze pubbliche in progressivo degrado).
Ciò consente, allora, di affermare che, al più, a partire dal 2001 le patologie del sistema-mercato sono semmai andate acuendosi unitamente alle (non indifferenti) influenze che sul mercato hanno avuto eventi bellici e politici significativamente destabilizzanti (fra i molti: l’abbattimento delle “Twin Towers”; la guerra contro i “Taliban” in Afghanistan; l’atterramento del regime di Saddam Hussein in Iraq; le alterne tensioni israelo-palestinesi e quelle fra America e Cina e America e Iran), soprattutto ove si consideri la portata o anche solo il potenziale dei mercati nazionali coinvolti ovvero le risorse economiche e naturali toccate.
Tale instabilità e tale incertezza (che, prima ancora che sui mercati, hanno avuto effetti sulla redistribuzione e il riassetto dei poteri politici ed economici globali) hanno, perciò, coinvolto – talora direttamente (finendo per trascinarci nei conflitti bellici) talaltra solo indirettamente (con i riverberi dell’instabilità e delle oscillazioni dei prezzi delle materie prime sui mercati) – tutti quegli stati che componevano la rete di interdipendenza economica (dovuta alla “globalizzazione” nella sua sottospecie di “globalizzazione dei mercati”) dei vari protagonisti che uno ad uno si sono succeduti e si stanno succedendo sul panorama politico ed economico mondiale.
Pur con un “salto” poco gradito agli storici e agli economisti – con i quali dovrò fare i conti: tuttavia è mia intenzione non annoiare il lettore e non dilungarmi oltremodo – il campo dell’analisi non può che dare una stretta sulla situazione nostro paese.
Inflazione, debito pubblico in costante crescita, deficit intollerabilmente alto, mercato fortemente “ingessato” hanno costituito (e costituiscono, anche se ora in misura nettamente minore) un persistente elemento di “deminutio ingenii” e delle capacità reattive delle frange più moderne e avanzate nostro sistema economico (i giovani, i ricercatori, le nuove leve della finanza), le quali hanno dovuto soccombere al conservatorismo delle istituzioni statali e all’atteggiamento reazionario delle altre frange attrici e protagoniste (anche in negativo: leggasi degli scandali finanziari negli ultimi 3 anni) del mercato.
Questo, pertanto, appare breviter un aspetto di quello che è l’“humus” storico ed economico cui far riferimento in generale.
In secondo luogo (2), è possibile volgere un veloce sguardo – a partire proprio dall’ultima considerazione svolta – sulle specifiche caratteristiche dell’assetto economico italiano.
Questo, invero, ha preso le mosse dall’impostazione corporativista generatasi e maturata nell’esperienza degli anni Trenta, con il contributo determinante del regime fascista di allora: si trattava (e, in parte, ancora si tratta) di strutture operative di mercato costituite su sistemi di forma piramidale, la cui base era costituita dagli operatori e il cui vertice era dato dalle organizzazioni (oggi il vertice, invero, può esser dato da un insieme di organizzazioni: un vertice che, talora, è “policefalo”) dotate di prerogativ...

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