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La riforma dell’imposizione indiretta sul settore immobiliare e i suoi effetti.-
La riforma dell’imposizione indiretta sul settore immobiliare e i suoi effetti
(Commento all’art. 35, commi 8 ss.,  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=34368" Decreto Legge 04.07.2006 n. 223, conv., con modif., dalla Legge 04.08.2006 n. 248)
Il  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=34368" Decreto Legge 04.07.2006 n. 223, conv., con modif., dalla Legge 04.08.2006 n. 248 (c.d. "Manovra-bis") ha rivoluzionato il regime fiscale del settore immobiliare. Numerosi sono i cambiamenti introdotti dal legislatore, sia sul piano della tassazione delle operazioni economiche imponibili, sia sul piano dei controlli per fini antielusivi. Da tali cambiamenti derivano, da un lato, aggravi fiscali su particolari tipologie di operazioni economiche e su particolari categorie di contribuenti (quali, principalmente, le imprese che esercitano in via esclusiva o principale l’attività di compravendita di immobili e le società di leasing immobiliare) e, dall’altro, oneri più incisivi per tutti i soggetti coinvolti da affari immobiliari.
Qui di seguito viene analizzata la nuova disciplina fiscale relativa agli immobili, con particolare riguardo a quelle fattispecie che risultano maggiormente "incise" dalla riforma.
Il nuovo regime della locazione, dell’affitto e del leasing immobiliare
Le operazioni economiche che danno luogo a tassazione quando hanno ad oggetto beni immobili consistono principalmente nei contratti aventi come contenuto la locazione (o l’affitto o il leasing) e la cessione.
Con riferimento alla prima di tali operazioni economiche, va detto subito che essa assume rilievo sia sotto il profilo dell’imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) sia sotto quello dell’imposta di registro.
Com’è noto, l’imposta sul valore aggiunto (di seguito anche "Iva") è un’imposta (indiretta), che grava sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi. Ai fini Iva, le locazioni rappresentano delle prestazioni di servizi (cfr. art. 3, comma 2, n. 1), DPR 633/1972), le quali risultano soggette ad imposta qualora siano poste in essere da titolari di partita Iva (in qualità di locatori) nell’esercizio della propria attività. Dunque, nell’ipotesi di un contratto di locazione avente ad oggetto un bene immobile e che veda come locatore, ad es., una S.r.l., l’operazione sarà soggetta ad Iva.
Chiarito che le operazioni economiche sono soggette ad Iva quando consistono in cessioni di beni o prestazioni di servizi (c.d. "presupposto oggettivo") e siano poste in essere da soggetti passivi Iva (c.d. "presupposto soggettivo"), occorre a questo punto analizzare specificamente la tassazione afferente la locazione e l’affitto di beni immobili.
Sul punto, va subito evidenziato che, rispetto al previgente regime, la riforma Bersani ha ampliato (fino quasi a generalizzarle) le ipotesi di esenzione dall’imposta sul valore aggiunto.
In base alle nuove regole, ogni tipo di locazione, compresa quella finanziaria, è esente da Iva, salvo alcune limitate eccezioni (cfr. art. 35, comma 8, Decreto Legge 04.07.2006 n. 223, conv., con modif., dalla Legge 04.08.2006 n. 248).
La disciplina può essere qui riassunta e schematizzata nella  HYPERLINK "http://www.altalex.com/index.php?idnot=34774" \l "tabella#tabella" tabella riportata in calce al presente articolo.
Come emerge dal prospetto, il previgente regime escludeva dall’applicazione dell’Iva (dichiarandole esenti) le sole locazioni relative a fabbricati residenziali e terreni agricoli, mentre vi restavano soggette le locazioni di immobili residenziali effettuate – in qualità di locatore – dall’impresa costruttrice degli immobili stessi per la vendita (la quale operazione godeva dell’aliquota ridotta al 10%), le locazioni finanziarie (relative a qualunque tipo di immobile) e le locazioni di fabbricati strumentali.Le nuove norme prevedono, invece, un sostanziale ampliamento dell’area di esenzione dall’imposta, dalla quale risultano escluse le sole locazioni di immobili strumentali, che rimangono soggette all’aliquota ordinaria Iva solo se il conduttore è un soggetto che, di fatto, non può detrarre l’Iva applicata ai canoni ovvero se il locatore, nel contratto di locazione, opti per la soggezione ad Iva. Ne risulta un aggravamento dell’imposizione sulle locazioni (abitative e non) e sul leasing.Le ragioni dell’aggravio fiscale risiedono, in primo luogo, nel fatto che le operazioni esenti da Iva, nonostante il c.d. "principio di alternatività Iva-Registro", scontano comunque l’imposta di registro. In secondo luogo, nel fatto che le operazioni economiche esenti ai fini Iva impediscono (o limitano fortemente) a colui che le pone in essere (dal lato attivo) di detrarre l’Iva pagata dallo stesso soggetto sugli acquisti.
Per quanto riguarda la prima delle due ragioni, va ricordato che, di regola, quando un’operazione economica è astrattamente soggetta ad Iva e a Registro (il che solitamente accade quando quell’operazione sia posta in essere da un soggetto passivo Iva), prevale l’imposta sul valore aggiunto, nel senso che l’operazione in questione sconterà l’imposizione Iva e, ai fini del Registro, vi sarà l’obbligo esclusivamente di versare un importo fisso (oggi pari ad ¬ 168,00), se il contratto (fonte dell operazione economica) viene redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata da notaio (il che accade normalmente in ipotesi di compravendita di immobili, ma non in caso di locazione). Dunque, se una certa operazione (poniamo, una prestazione di un servizio professionale) è soggetta ad Iva (come nell’ipotesi ora menzionata), in base al principio di alternatività essa non sarà soggetta ad imposta di registro (salvo che il contratto di prestazione d’opera professionale non debba farsi per atto pubblico o per scrittura privata autenticata da notaio, nel qual caso l’operazione darà luogo all’obbligo di pagamento dell’imposta di registro in misura fissa, ossia pari ad ¬ 168,00, a prescindere dal valore dell operazione). Viceversa, laddove un operazione non sia soggetta ad Iva (come, ad es., nel caso di una locazione di un immobile da parte di un soggetto non titolare di partita Iva), essa sconterà l’imposta di registro in misura proporzionale (ossia in percentuale sul valore del contratto, che, nel caso ipotizzato, è pari al 2% del canone annuale, moltiplicato per gli anni di durata del contratto).
Ciò posto, è logico chiedersi: le operazioni esenti (da Iva) sono considerate come operazioni soggette ad Iva (sicché escludono l’applicazione dell’imposta di registro ovvero impongono di versare l’imposta in misura fissa) o come operazioni che, non comportando l’applicazione dell’imposta, vanno considerate come escluse (e quindi come originanti l’obbligo del pagamento del Registro in misura proporzionale)? L’art. 40 DPR 131/1986, come da ultimo modificato dal DL 223/2006, prevede attualmente che le locazioni esenti si considerano, ai fini dell’imposta di registro, non soggette ad Iva, e dunque danno luogo all’obbligo di pagamento dell’imposta in misura proporzionale e in termine fisso (ossia entro 30 giorni dalla data del contratto). Peraltro, alle locazioni aventi ad oggetto immobili strumentali, anche se imponibili ai fini Iva, si applica ugualmente l’imposta di registro in misura proporzionale ed in termine fisso (cfr. prospetto A, fattispecie n. 3), 4), 5)); il legislatore della riforma ha, infatti, introdotto, con riferimento a questa ipotesi, una deroga al principio di alternatività.
Venendo, ora, alla seconda delle due ragioni indicate sopra, ossia alla circostanza secondo cui le operazioni economiche esenti ai fini Iva impediscono (o limitano fortemente) a colui che le pone in essere (dal lato attivo) di detrarre l’Iva pagata dallo stesso soggetto sugli acquisti, l’aggravio deriva dalla perdita del carattere di neutralità dell’imposta.
Com’è noto, lo schema applicativo dell’Iva (ridotto all’essenziale) è il seguente: i soggetti passivi Iva, quando pongono in essere cessioni di beni o prestazioni di servizi, devono versare all’Erario un importo ordinariamente pari al 20% del valore della cessione o del servizio; tuttavia, essi non ne sopportano definitivamente il peso, in quanto hanno l’obbligo di rivalersi del suddetto importo nei confronti del loro cessionario o committente (in base all’art. 18 DPR 633/1972). Se, poi, i cessionari o committenti sono anch’essi soggetti passivi Iva (ossia imprenditori o lavoratori autonomi titolari di partita Iva) ed hanno acquistato i beni o servizi nell’esercizio della loro attività, hanno il diritto di detrarla (ossia di compensarla) con quella dovuta all’Erario per le cessioni o prestazioni che essi effettuano (e della quale essi si rivalgono nei confronti dei loro clienti). Per questo motivo, si dice che l’Iva è, per i soggetti passivi, "neutrale", ossia un’imposta che non incide sugli stessi, ma solo sui cessionari o committenti non titolari di partita Iva.
Esistono, comunque, ipotesi eccezionali in cui la legge esclude che i cessionari o committenti, pur essendo soggetti passivi Iva, abbiano il diritto di detrarre (dall’Iva sulle cessioni o prestazioni effettuate) l’Iva sugli acquisti. Tra questi casi (che, in quanto eccezionali, alterano lo schema normale dell’imposta facendo venir meno la stessa neutralità di essa), rientra, appunto, l’ipotesi in cui gli acquisti effettuati abbiano ad oggetto beni (o servizi) la cui rivendita dia luogo ad un’operazione economica esente.
Caso tipico è quello del medico, che esegue in via esclusiva prestazioni di servizi (di natura sanitaria) esenti. Questo professionista (titolare di partita Iva) non ha diritto di detrarre l’Iva, in quanto i suoi acquisti sono diretti all’esecuzione di prestazioni di servizi esenti. Per questo soggetto l’Iva non è neutrale, giacché egli la paga al suo fornitore (che gliela addebita, in aggiunta al prezzo del bene o servizio venduto o fornito, in applicazione dell’art. 18 DPR 633/1972) e non la detrae; dunque, egli risulta definitivamente inciso dal tributo.
Alla luce di quanto fin qui detto, si può convenire su quanto segue: l’ampliamento dell’area dell’esenzione comporta, per quei soggetti che fino a quel momento effettuavano locazioni o affitti soggetti ad Iva, il venir meno della neutralità dell’imposta (nel senso che essi non potranno più detrarre l’Iva pagata sugli acquisti relativi alla prestazione esente) e, di conseguenza, un aggravio di imposte a loro carico.
Un esempio potrebbe chiarire meglio quanto stiamo dicendo.
Poniamo che un’impresa, che costruisce immobili per la successiva rivendita, decida, in attesa di trovare un acquirente, di dare in locazione tre appartamenti in un edificio adibiti ad uso abitativo. Se si ipotizza che all’impresa la costruzione degli appartamenti sia costata (per materiali e subappalti) complessivamente la somma di ¬ 500.000 + Iva 20% e che la stessa riesca a locare gli appartamenti invenduti per un canone complessivo annuo di ¬ 25.000, la tassazione relativa alla locazione nel suo complesso sarà la seguente:
- Iva: esente
- Imposta di registro (2%): ¬ 500,00 (che dovrà essere necessariamente versata  e il contratto obbligatoriamente registrato  in quanto trattasi di operazione in deroga al principio di alternatività),
oltre all imposta di bollo.
Quindi l impresa, alla quale gli appartamenti locati erano costati (¬ 500.000,00 + Iva 20% indetraibile ¬ 100.000,00) = ¬ 600.000,00, realizza dalla locazione un ricavo netto (costituente reddito imponibile) pari ad ¬ 25.000,00 (ossia pari al 4,16% dell importo investito). Dal canto suo, il conduttore verserà all impresa, a titolo di canone, l importo annuo di (¬ 25.000,00 + imposta di registro 2% di ¬ 500,00) = ¬ 25.500,00.
Sulla base, invece, del regime previgente al Decreto Legge 04.07.2006 n. 223, conv., con modif., dalla Legge 04.08.2006 n. 248, la tassazione relativa all atto era la seguente:
- Iva (10%): ¬ 2.500,00
- Imposta di registro: non dovuta (salvo che le parti decidessero liberamente di stipulare il contratto dal notaio),
oltre all imposta di bollo.
Quindi l impresa, alla quale gli appartamenti locati erano costati (¬ 500.000,00 + Iva 20% detraibile fino al 10% (¬ 100.000,00 - ¬ 50.000,00)) = ¬ 550.000,00, realizzava dalla locazione un ricavo netto (costituente reddito imponibile) pari ad ¬ 25.000,00 (ossia pari al 5% dell importo investito). Dal canto suo, il conduttore versava all impresa, a titolo di canone, l importo annuo di (¬ 25.000,00 + Iva 10% di ¬ 2.500,00) = ¬ 27.500,00.Come si ricava dall esempio, in base alla nuova normativa, nel caso sopra esaminato il conduttore realizza un risparmio di ¬ 2.000,00, mentre, a causa dell esenzione da Iva, le imprese costruttrici subiscono un netto calo dei loro introiti (dal 5% al 4,16% del capitale investito). È facilmente immaginabile che questo squilibrio finanziario venga ribaltato dalle imprese immobiliari (le quali sono ovviamente interessate a mantenere i loro ricavi quantomeno costanti, se non ad incrementarli) sui clienti, mediante un equivalente incremento dei canoni di locazione (nell’esempio sopra riportato, affinché la modifica normativa sia indifferente per l impresa, occorre che questa elevi il canone annuo fino all importo di ¬ 30.000,00, pari al 5% di ¬ 600.000,00, con un rincaro del 9% circa sul canone pattuito ante riforma).
Lo stesso discorso vale per le locazioni (anche finanziarie) di immobili strumentali da parte di qualunque soggetto passivo Iva: anche con riferimento a queste operazioni il legislatore ha previsto l’esenzione (come regola generale) ed un’imposta di registro (da versare persino nei casi eccezionali di imponibilità Iva) pari all’1% del canone annuo. In questo caso gli aumenti delle immobiliari ricadranno sui commercianti e sui professionisti.
Da ultimo, non va dimenticato che la riforma ha introdotto l’obbligo di registrazione per tutti i contratti di locazione, sia che abbiano ad oggetto fabbricati strumentali sia che abbiano ad oggetto beni immobili diversi: i contratti, che in base alla previgente disciplina erano sottratti all’obbligo di registrazione, dovranno adeguarsi, entro il termine e con le modalità che verranno stabiliti con successivo provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate (cfr. art. 35, comma 10-quinquies, DL cit.).
La compravendita dei beni immobili
Per quanto riguarda le cessioni immobiliari, l’aggravio discendente dalla riforma è ancora più pesante. Da un punto di vista fiscale, la compravendita di un immobile risulta assoggettata all’imposta sul valore aggiunto (quando sia effettuata, in qualità di venditore, da un soggetto passivo Iva), all’imposta di registro e all’imposta ipotecaria e catastale.
La relativa disciplina (aggiornata alle modifiche apportate dall’art. 35 Decreto Legge 04.07.2006 n. 223, conv., con modif., dalla Legge 04.08.2006 n. 248) può essere qui riassunta e schematizzata come segue:
Per quanto riguarda i fabbricati diversi da quelli strumentali (ossia gli immobili generalmente destinati ad uso abitativo, iscritti o iscrivibili nella categoria catastale A, con esclusione soltanto di quelli A/10) il previgente regime disponeva che qualunque tipo di cessione fosse esente, come regola generale, salve le ipotesi in cui le cessioni stesse fossero effettuate dalle imprese costruttrici o esecutrici di lavori di ristrutturazione o da imprese di trading immobiliare, nel qual caso esse erano soggette ad Iva, con aliquota differenziata a seconda della tipologia di immobile ceduto. Di fatto il legislatore si preoccupava di salvaguardare il diritto alla detraibilità dell’Iva eventualmente pagata sugli acquisti da parte delle imprese operanti in via esclusiva o principale nel settore immobiliare.
Le nuove norme prevedono, invece, un sostanziale ampliamento dell’area di esenzione dall’imposta, per effetto del quale risultano evidentemente penalizzate le imprese di trading immobiliare, le quali saranno in ogni caso esenti da Iva e non potranno più detrarre l’imposta pagata sull’acquisto di immobili a destinazione abitativa (anche per effetto della modifica dell’art. 19bis1, comma 1, lett. i), DPR 633/1972). Inoltre, neanche per le imprese costruttrici (le uniche sfuggite, insieme a quelle di ristrutturazione, alla regola dell’esenzione) sarà possibile effettuare cessioni con Iva, se le stesse avvengano oltre i quattro anni dall’ultimazione dell’immobile ceduto.
Esempio
Poniamo che un’impresa costruttrice venda un appartamento adibito ad uso abitativo non di lusso sito in un edificio da lei stessa costruito e ultimato da oltre 4 anni e che il compratore sia un soggetto che non ha i requisiti per beneficiare delle agevolazioni "prima casa". La fattispecie è quella sub 2) del prospetto sopra riportato. Se si ipotizza che all’impresa la costruzione dell’appartamento sia costata ¬ 55.000 + Iva 20% (per materiali e subappalto) e che le parti pattuiscano, quale corrispettivo netto per la cessione, l importo di ¬ 100.000,00, la tassazione relativa all atto sarà la seguente:
- Iva: esente
- Imposta di registro(7%): ¬ 7.000,00
- Imposta ipotecaria (2%): ¬ 2.000,00
- Imposta catastale (1%): ¬ 1.000,00,
quindi l acquirente pagherà all impresa ¬ 110.000,00 (oltre all impo...

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