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QUESITO N. 421: A quali conseguenze va incontro l’acquirente di una quota ideale, , laddove la restante quota di proprietà dell’immobile sia in titolarità di cinque coeredi, che si rifiutano di alienare la quota medesima?
QUESITO N. 421 A quali conseguenze va incontro l’acquirente di una quota ideale, su un immobile di provenienza ereditaria, laddove la restante quota di proprietà dell’immobile sia in titolarità di cinque coeredi, che si rifiutano di alienare la quota medesima? Quali azioni può esperire l’acquirente per entrare nella titolarità anche della restante quota dell’immobile?


Il caso che ci occupa ha ad oggetto la vendita da parte di un coerede di una quota indivisa di un bene facente parte di una più ampia comunione ereditaria, c.d. vendita di quotina.
I coeredi che intendono procedere alla vendita, dunque, vogliono porre in essere un atto di disposizione, avene ad oggetto non già l’interezza dei diritti agli stessi coeredi spettanti sulla massa ereditaria, bensì i diritti spettanti sul singolo bene.
L’ammissibilità di tale atto di disposizione è fortemente discussa in dottrina ed in giurisprudenza.
Secondo la dottrina dominante, avallata anche dalla giurisprudenza, accanto ad una quota sul tutto, c.d. quotona, vi sarebbe anche una quota su ogni singolo bene, c.d. quotina. L’esistenza della c.d. quotina, infatti, non risulterebbe esclusa da alcuna disposizione legislativa.
Ammessa in tal modo la possibilità di disporre del singolo cespite, autorevole opinione ha sostenuto che l’alienazione della c.d. quotina dispieghi efficacia reale.
Questa tesi trae fondamento dalla circostanza che in ogni ipotesi di comunione, ancorchè ereditaria, ciascun compartecipe ha il diritto di trarre dalla cosa le utilità dirette ed indirette connesse allo stato di comproprietà, di tal chè deve ammettersi la vendita con efficacia reale dei singoli beni.
All’interno di questo orientamento, vi è poi chi ritiene che anche a seguito dell’alienazione della quota sul bene, la comunione resti unica, tra gli originari coeredi, con conseguente diritto dell’acquirente a partecipare alla divisione esclusivamente ai sensi dell’art. 1113 c.c.
Invero, detta soluzione appare difficilmente condivisibile, in quanto priverebbe il titolare del godimento pro quota del bene comune dei complessi poteri tradizionalmente connessi alla comproprietà della res, tra cui il diritto a domandare lo scioglimento della comunione ed essere parte della divisione medesima.
Appare, pertanto, preferibile, l’opinione di quanti, nell’ammettere la facoltà di disporre con efficacia reale della quotina, sostengono che tale atto di disposizione darebbe vita a due comunioni: la prima di natura ereditaria, che continuerebbe a sussistere tra gli originari eredi, la seconda di natura ordinaria, solo sul singolo bene oggetto di alienazione, tra l’acquirente e gli altri eredi. Conseguentemente sarà necessario sciogliere la comunione con due distinti atti di divisione.
L’efficacia reale dell’alienazione di una quota sul singolo bene, tuttavia, è criticata dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo cui il coerede è titolare soltanto di un diritto sull’intero, stante l’impossibilità nella comunione ereditaria di distinguere le singole quote sui singoli beni, dovendosi fare riferimento solo alla quota ereditaria.
Se viene negata la facoltà al coerede di disporre con efficacia reale della quotina, non viene però esclusa la possibilità di porre in essere atti con efficacia meramente obbligatoria.
La giurisprudenza, infatti, ha spesso ricostruito la vendita di quotina quale vendita dell’esito divisionale, in virtù della quale l’alienazione è condizionata sospensivamente dell’assegnazione del bene ai coeredi venditori e detta ricostruzione è stata fatta propria anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità: “data la mancanza nel coerede della titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul singolo bene, l’efficacia dell’alienazione, con effetti puramente obbligatori, resta subordinata alla condizione della assegnazione, a seguito della divisione, del bene (o della sua quota parte) al coerede medesimo” (Cass, sez II, 19/01/2012 n. 737).
In altri termini il negozio giuridico sarebbe sottoposto ad una condicio iuris, il cui avveramento o mancato avveramento si determinerà al momento della divisione. Fino a tale momento non si avrà alcun effetto traslativo, nè l’insorgere dell’obbligo del pagamento del prezzo.
Altra ricostruzione elaborata in sede dottrinale e giurisprudenziale ravvisa nella vendita di quotina una vendita di cosa altrui. Anche questa ricostruzione non attribuisce al negozio efficacia traslativa, ma comporta in capo ai venditori l’obbligo di procurare all’acquirente l’acquisto della cosa. Si applica la disciplina della vendita di cosa totalmente altrui, sicchè l’acquirente acquisterà la proprietà del bene nel momento in cui gli alienanti diverranno assegnatari del bene medesimo. Conseguentemente il disponente continua a far parte della comunione ereditaria e titolare del diritto di chiedere la divisione, ex art. 1111 c.c.
Unica eccezione è costituita dell’ipotesi in cui il patrimonio ereditario sia costituito da un unico bene. In quest’ultimo caso, la fattispecie viene qualifica quale vendita della quota ereditaria, così come precisato dalla Suprema Corte “Se il bene parzialmente compravenduto costituisce l'intera massa ereditaria, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato all'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede - venditore, essendo quest'ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà e potendo di questa liberamente disporre, sì che il compratore subentra, "pro quota", nella comproprietà del bene comune” (Cassazione civile, sez. III, 01/07/2002, n. 9543; Cassazione civile, sez. II, 09/04/1997, n. 3049; Cassazione civile, sez. II, 23/07/1993, n. 8259)
L’effetto traslativo del bene non sarà, dunque, subordinato all’assegnazione della quota concreta ai coeredi venditori, in quanto ciascun coerede è esclusivo titolare della quota ideale di comproprietà, e di questa può liberamente disporne, in quanto si presume che i coeredi alienino la porzione ideale dell'universum ius defuncti (Cassazione civile, sez. II, 28/10/2010, n. 22086). L’acquirente entrerà, dunque, pro quota nella comunione ereditaria, sebbene si discute s...

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