Loading…
QUESITO N. 050: Se la rinunzia all'eredità da parte di un erede (imprenditore commerciale) tutela dalla revocatoria fallimentare il terzo acquirente del bene proveniente dall'eredità
titolato appunto “Delle Successioni”, in particolare agli artt. 519-527.
Si discute in dottrina circa la natura giuridica di tale atto, se sia, cioè, una vera e propria rinunzia.
Da un lato, infatti, parte della dottrina (Ferri, Cian-Trabucchi), sostiene che si tratta di un Atto di Rifiuto attraverso il quale il chiamato non dismette, ma respinge i diritti, ovvero la complessa posizione giuridica, che gli vengono offerti impedendone così l’ingresso nel suo patrimonio.
Altra parte della dottrina, che sembra la maggioranza (Santoro-Passarelli, Cariota-Ferrara) sostiene, invece, che si tratta di un autentico negozio di rinunzia, avente un preciso oggetto, appunto il diritto di accettare l’eredità, con il quale il chiamato dismette tale diritto senza trasferirlo ad altri.
La Giurisprudenza è orientata nel primo significato, ovvero nel riconoscere la rinunzia come strumento per impedire l’ingresso del diritto oggetto della rinunzia nel patrimonio del rinunziante (Sent. 13 Aprile 1994, n. 1058).
Superando queste certezze della dottrina in merito alla qualificazione dell’Istituto, caratteristiche pacifiche, invece, sono da rinvenire con sicurezza nella sua unilateralità, per l’evidente ragione che il titolare del diritto “decide” senza la partecipazione di altri soggetti: nel suo formalismo, nel senso che devono essere rispettate le forme previste dall’art. 519 comma 1 C.c., ovvero “dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”, con la conseguenza che una dichiarazione fatta in forma diversa, rende nullo l’atto di rinunzia; nel suo essere atto legittimo, perché non tollera l’apposizione di elementi accidentali (art. 520 C.c.), nel fatto che non è un negozio personalissimo consente, cioè, la rappresentanza legale; che, ancora, non è un negozio recettizio, perché la dichiarazione non è diretta a destinatari determinati; e che, infine, non è soggetto a trascrizione nei registri immobiliari nell’eredità siano compresi immobili (qual è il caso che ci occupa), in quanto la rinunzia non ha ad oggetto un diritto su beni immobili, ma il diritto di natura personale ad accettare l’eredità.

I soggetti legittimati alla rinunzia sono i chiamati alla successione.
Anche gli incapaci e le persone giuridiche possono rinunziare; nel primo caso saranno necessarie le opportune autorizzazioni per integrare la capacità, mentre, quando rinunziante è una persona giuridica, non si appalesa la necessità di un’autorizzazione, a differenza dell’accettazione che deve essere sempre autorizzata, se non in ipotesi espressamente previste dalla legge speciale per determinate categorie di enti: istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, gli istituti ecclesiastici ed enti di culto.
Il legislatore, mentre ha disciplinato espressamente, all’art. 480 C.c., la prescrizione del diritto di accettare l’eredità (10 anni dall’apertura della successione) nulla dispone relativamente al tempo della Rinunzia, tanto da far pensare ad una imprescrittibilità del potere di rinunziare. La dottrina prevalente (Cian - Trabucchi, Torrente) ritiene, che la rinunzia possa essere validamente compiuta nello stesso termine stabilito per l’accettazione, appunto 10 anni, sulla base dell’osservazione che una rinunzia compiuta oltre il termine per accettare, sarebbe vana, frustranea, in quanto riguarderebbe un’eredità rispetto alla quale il diritto di accettare si è prescritto.

Il momento iniziale del termine coincide, normalmente. con l’apertura della successione; se poi il momento della Delazione (cioè l’offerta dell’eredità al soggetto legittimato) non coincide con quello dell’apertura della successione, la decorrenza sarà dìfferita (pensiamo ad es. alla eredità condizionata o devoluta ai nascituri).

Dal diritto di rinunziare si può decadere in tre ipotesi espressamente previste dal codice. La prima ipotesi riguarda il chiamato all’eredità che è nel possesso dei beni ereditati il quale, non avendo compiuto l’inventario nel termine di tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della delazione viene considerato erede puro e semplice (art. 485, 2 comma).
La seconda ipotesi riguarda anch’essa il chiamato possessore il quale, pur avendo compiuto l’inventario medesimo, e, pertanto, trascorso questo termine, è considerato erede puro e semplice (art. 485, 3 comma).
La terza ipotesi, infine, è prevista dall’art. 527 C.c . secondo il quale “i chiamati all’eredità che hanno sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa, decadono dalla facoltà di ninunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia”.


Per quanto riguarda gli Effetti della Rinunzia, il primo comma dell’art. 521 Cc. dispone che chi rinunzia all’eredita è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”; retroattività che non toglie, però. efficacia agli atti di conservazione ed amministrazione, compiuti dal chiamato prima della rinunzia, con i poteri conferitigli dagli artt. 460 e 486 C.c.
L’art. 521 C.c., va letto in relazione all’art. 525 Cc., il quale prevede che, nonostante la rinunzia, il chiamato conserva il potere di accettare l’eredità “se non è già stata acquistata da altro dei chiamati”.
Questo significa che la rinunzia, da sola, non fa cadere la delazione, cosa che accade, invece, quando l’eredità viene acquistata dagli altri chiamati.
Gli unici effetti immediati della rinunzia sono da ricercare, da un lato, nella perdita per il rinunziante dei poteri di cui agli artt. 460 e 486 C.c. e, dall’altro, nella estensione della delazione agli ulteriori chiamati.

I successivi artt. 522 e 523 del Codice, prevedono la operatività della devoluzione nelle ipotesi specifiche dì successione legittima, il primo, e successione testamentaria, il secondo. Nelle successioni legittime (art. 522) “la parte di colui che rinunzia. si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 571. Se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”.
Nelle successioni testamentarie, (art. 523) “se il testatore non ha disposto una sostituzione e se non ha luogo il diritto di rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi a norma dell’art. 674, ovvero si devolve agli eredi legittimi, a norma dell’art. 677”.


La rinunzia all’eredità può essere impugnata sia dal rinunziante che dai suoi creditori.
La prima ipotesi è prevista dall’art. 526 C.c. secondo il quale, la rinunzia all’eredità si può impugnare solo se è l’effetto di violenza o di dolo. L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo. L’impugnativa per errore è esclusa, l’unico rimedio, nell’ipotesi in cui il rinunziante si fosse sbagliato sulla consistenza dell’asse ereditario o sul passivo, è la revoca, nei casi in cui è consentita.
La seconda ipotesi è prevista dall’art. 524 C.c. che dispone che se taluno rinunzia, anche senza frode, ad un’eredità con danno dei suoi credit...

... continua
La versione completa è consultabile sul sito mediante registrazione