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Se la caparra confirmatoria è volta a garantire l'esecuzione del contratto.-
Caparra confirmatoria: risoluzione del contratto e risarcimento del danno
Cassazione , sez. III civile, sentenza 16.05.2006 n° 11356

La caparra confirmatoria, che consiste in una somma o in una quantità di cose fungibili, ha natura composita e funzione eclettica: essa è infatti volta a garantire l'esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte, sotto tale profilo pertanto avvicinandosi alla cauzione; ha funzione di autotutela, consentendo di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice; ha funzione di preventiva liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell'inadempimento della controparte.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11356 del 16 maggio 2006, precisando che la caparra confirmatoria, a differenza della penale, non pone un limite al danno risarcibile, ben potendo la parte non inadempiente recedere senza dover proporre domanda giudiziale o intimare la diffida ad adempiere e trattenere la caparra ricevuta ovvero esigere il doppio di quella prestata a totale soddisfacimento del danno derivante dal recesso, senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo; ovvero non esercitare il recesso e chiedere la risoluzione del contratto e l'integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali ( art. 1385 c.c., comma 3), e cioè sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA 16-05-2006, n. 11356
(Presidente G. Nicastro, Relatore L. A. Scarano)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 9/2/95 il sig. P. D. conveniva avanti al Tribunale di Venezia il sig. B. A. per ivi sentirlo condannare alla restituzione della somma di L. 5 milioni, oltre interessi, previo accertamento della nullità della scrittura d.d. 3/12/89.
Si costituiva il B., che eccepiva l'inammissibilità o improponibilità della domanda per intervenuto giudicato sulle statuizioni in ordine allo stesso oggetto emesse da Trib. Venezia n. 511 del 1993, e ne chiedeva in ogni caso il rigetto nel merito, in via riconvenzionale instando per la condanna del P. al pagamento del corrispettivo spettantegli in ragione della convenuta cessione di azienda (esercizio di frutta, verdura e generi alimentari) nonchè a titolo di canoni dovutigli per l'inadempimento dello stipulato contratto di locazione avente ad oggetto i locali del negozio.
L'adito giudice, ritenuta la proponibilità della domanda, ne pronunziava il rigetto, unitamente a quella in via riconvenzionale formulata dal convenuto, per infondatezza nel merito.
Interposto gravame dal P., con sentenza dell'11/6/2001 la Corte d'Appello di Venezia nella resistenza del B., che riproponeva anche la domanda di pagamento del saldo per la cessione dell'azienda e di canoni di locazione proposta in via riconvenzionale, in riforma dell'impugnata sentenza dichiarava improponibili le domande, con compensazione tra le parti delle spese di lite.
Avverso la suindicata sentenza della corte di merito ricorre ora per Cassazione il P., sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria.
Resiste il B. con controricorso, anch'esso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione dell'art. 100 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c.;
insufficiente o erronea motivazione su punto decisivo della motivazione.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto essersi nel caso formato il giudicato sulla pronunzia emessa da Trib. Venezia con sentenza n. 511 del 1993, non contenendo quest'ultima alcun capo della decisione concernente la domanda di restituzione della somma di L. 5 milioni fatta valere, essendosi il giudice limitato ad affermare l'insussistenza di elementi idonei a consentire di "identificare se e quale condotta in concreto fosse da qualificare inadempiente" ai fini della (in tale giudizio) richiesta declaratoria di risoluzione del contratto e conseguente restituzione della caparra versata.
Vi era pertanto stata un'omessa pronunzia al riguardo da parte di tale giudice, con conseguente impossibilità del formarsi di alcun giudicato.
Omessa pronunzia in ogni caso non ostativa alla riproposizione della domanda in separato giudizio, avendo la rinunzia implicita alla domanda ex art. 346 c.p.c.. valore meramente processuale e non anche sostanziale, nessun opponibile giudicato potendo pertanto nel caso essersi formato in conseguenza della mancata impugnazione della medesima.
Con il 2 motivo, denunziando violazione dell'art. 2033 c.c. e art. 112 c.p.c. nonchè omessa e falsa interpretazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che erroneamente risulta in sentenza affermato attenere la formulata domanda di restituzione alla caparra, trattandosi viceversa nel caso della ontologicamente diversa domanda di ripetizione di indebito oggettivo, conseguente alla declaratoria di nullità del contratto preliminare in questione.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente, essendo logicamente connessi.
Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti di seguito indicati.
In riforma della sentenza del giudice di prime cure, che l'aveva considerata proponibile e rigettata per l'infondatezza nel merito, la Corte di merito ha ritenuto fondata l'eccezione di giudicato del B. in ordine alla nullità del contratto de quo, affermando essere stata la stessa accertata incidenter tantum da Trib. Venezia n. 511 del 1993 nel qualificare come "del tutto incomprensibile e priva di causa la previsione di un canone per l'affitto dell'azienda mancando a carico del cedente-locatore un'obbligazione corrispettiva".
Il giudice del gravame di merito aggiunge che, essendosi nella detta sentenza ravvisata "l'impossibilità di identificare le obbligazioni e di qualificare se e quali condotte fossero da qualificare inadempienti", nonchè rigettate "le domande tendenti alla risoluzione del contratto e, quindi, anche quella di restituzione della caparra" l'allora appellante ed odierno ricorrente P. aveva invero "l'onere di impugnare la sentenza che, sul punto, è passata in giudicato". Al riguardo concludendo: "Nè a diversa soluzione si perverrebbe se, in ipotesi, si volesse (ma lo stesso appellante lo esclude) attribuire efficacia di giudicato implicito alla declaratoria di nullità del contratto "de quo" giacchè, anche in tal caso, il rigetto, della domanda restitutoria della caparra doveva essere impugnata tempestivamente".
Va al riguardo precisato che, a fronte di formulate domande dell'odierno resistente ed allora attore B. (di risoluzione del contratto stipulato il 3/12/1989 per inadempimento del P., con conseguente condanna del medesimo al risarcimento dei danni) nonchè dell'odierno ricorrente ed allora convenuto ed attore in via riconvenzionale P. (di nullità della domanda per indeterminatezza dell'oggetto e in subordine di risoluzione del contratto per inadempimento del B. con conseguente condanna alla restituzione della caparra di L. 5.000.000 nonchè, in via riconvenzionale, alla restituzione della somma di L. 5.000.000, oltre ad interessi e rivalutazione nonchè ai danni da quantificarsi in corso di causa), con sentenza n. 511 del 1993 Trib. Venezia si è limitato a rigettare la domanda di quest'ultimo ed altresì quelle di nullità della citazione e di risoluzione del contratto dal P. in tale sede proposte in via di eccezione, senza pronunziare espressamente in ordine alla sopra riportata domanda riconvenzionale di restituzione di L. 5.000.000, oltre ad interessi e ai danni da quantificarsi in corso di causa.
In motivazione tale giudice afferma che, pur avendo entrambe le parti chiesto la risoluzione dello stipulato contratto preliminare de quo, ed essendo "evidentemente necessario" al riguardo "pervenire alla esatta qualificazione giuridica del contratto ed alla individuazione delle obbligazioni da esso nascenti" al fine di "identificare se e quale condotta in concreto sia da qualificare inadempiente", risulta tuttavia "nella specie ... impossibile identificare la natura del contratto ...". Aggiungendo che, pur a fronte di "considerazioni" le quali "indurrebbero a prospettare profili di nullità del contratto", non gli era invero consentito rilevare quest'ultima d'ufficio, essendo stata nell'occasione proposta una domanda di risoluzione, e non già di adempimento.
La detta pronunzia non veniva impugnata.
Con successiva domanda notificata nel 1995 il P. adiva nuovamente il tribunale veneziano chiedendo accertarsi "la nullità della scrittura 03.02.1989 conclusa dalle parti, ordinarsi al convenuto di restituire all'attore la somma di L. 5.000.000 oltre agli interessi di L. 2 novembre 1990 (corrispondente alla data dello scambio della comparsa di risposta nell'anteriore giudizio) al definitivo saldo".
Nel disattendere l'eccezione di giudicato sollevata dal B., a chiusura del primo grado del presente procedimento Trib. Venezia 21/8/1997 ha ritenuto proponibile la domanda, "in quanto non esaminata nella sentenza inter partes di questo Tribunale n. 511/93 e perciò non preclusa dal giudicato formatosi in ordine alla medesima pronunzia, siccome correttamente evidenziato dallo stesso attore".
La medesima rigettando tuttavia nel merito.
In sede di gravame la Corte d'Appello di Venezia ha viceversa accolto l'eccezione di giudicato, avendo asseritamente Trib. Venezia n. 511 del 1993 incidenter tantum accertato la nullità del contratto preliminare de quo, nonchè "rigettato le domande tendenti alla risoluzione del contratto e, quindi, anche quella di restituzione della caparra formulata, appunto in via riconvenzionale dall'odierno appellante".
Va anzitutto premesso che l'interpretazione della domanda e l'apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, è in effetti rimessa al giudice del merito (da ultimo v. Cass., 2/11/2005, n. 21208), anche di appello (da ultimo v. Cass., 6/10/2005, n. 19475), ed è sindacabile in sede di legittimità solamente sotto il profilo dell'esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (v. Cass., 14/4/1999, n. 3678).
Peraltro, come questa Corte di legittimità ha avuto modo - seppure non univocamente - di affermare, il principio secondo cui l'interpretazione delle domande giudiziali implica un giudizio di fatto demandato al giudice di merito, e sindacabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione, non esaurisce invero la problematica in materia di attribuzioni del giudice di legittimità riguardo all'identificazione dell'oggetto del giudizio, in quanto la Corte di Cassazione deve procedere all'esame e alla valutazione diretta degli atti sia quando si prospetti che il giudice di merito abbia del tutto trascurato determinate richieste ovvero abbia pronunziato su domande che non risultano proposte o ultra petita e manchi un sia pur sintetico contributo sul piano ermeneutico del giudice di merito; sia quando in sede di legittimità si constati, attraverso il controllo della correttezza e congruità della motivazione, la censurabilità in concreto dell'operato del giudice di merito nella interpretazione delle domande.
In ambedue i casi, infatti, si prospetta concretamente la violazione dell'art. 112 c.p.c. e la sussistenza del relativo error in procedendo, ed è analogamente necessario che il giudizio di cassazione si concluda con la precisa identificazione dell'oggetto del giudizio, ai fini, a seconda dei casi, dell'adozione di una pronunzia di cassazione senza rinvio (in caso di pronunzia su domanda non effettivamente proposta), oppure di cassazione con rinvio finalizzata all'esame in sede di merito delle domande effettivamente proposte (v. Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049).
Va altresì tenuta distinta l'ipotesi in cui si lamenti l'omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri viceversa l'interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa.
Solo nel primo caso si verte infatti propriamente in tema di violazione dell'art. 112 c.p.c. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all'esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronunzia richiestale.
Nel caso in cui venga diversamente in contestazione l'interpretazione del contenuto o dell'ampiezza della domanda, tali attività integrano invece un tipico accertamento in fatto, sindacabile in cassazione esclusivamente sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (v. Cass., 5/8/2005, n. 16596; Cass., 28/9/2004, n. 19416; Cass., 20/8/2002, n. 12259).
Sotto altro profilo, costituisce principio pacifico quello secondo cui il contenuto e la portata precettiva di qualsiasi pronunzia giudiziaria devono essere accertati sulla base del dispositivo e della motivazione (v. Cass., 5 ottobre 1999, n. 11033), sicchè la portata del giudicato - sia esso esterno od interno - va effettuata con riferimento non soltanto al dispositivo della sentenza ma anche alla motivazione di quest'ultima, non potendo escludersi nemmeno la correttezza di un'indagine diretta ad attribuire rilevanza integratrice alle stesse domande delle parti, nell'assenza di altri elementi idonei ad escludere un'obiettiva incertezza sul contenuto della pronunzia (v. Cass., 23/11/2005, n. 24594; Cass., 12/12/2003, n. 19052 ; Cass., 5/3/2003, n. 3245; Cass., 27/11/2001, n. 14986; Cass. n. 10498 del 2001; Cass., 1 ottobre 1999, n. 10869; Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, n. 277).
Ancora, va precisato che il giudicato, sia esso interno od esterno, costituendo la regola del caso concreto partecipa della qualità dei comandi giuridici, conseguendone che, come la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto ma deve essere assimilata - per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce - all'interpretazione delle norme giuridiche, così l'erronea presupposizione della sua esistenza o inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non già quale errore di fatto bensì quale errore di diritto, assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto (v. Cass., Sez. Un., 17/11/2005, n. 23242, Cass., Sez. Un., 16/11/2004, n. 21639; Cass., Sez. Un., 2/4/2003, n. 5105. Contra, nel senso che esso è censurabile in sede di legittimità per violazione dei criteri di ermeneutica di cui agli artt. 1362 ss. c.c. v. peraltro Cass., 16/5/2005, n. 10229; Cass., 30/5/2003, n. 8809).
Va ulteriormente posto in rilievo che al fine di verificare se si sia formato un giudicato, interno od esterno, che è obbligata a rilevare anche d'ufficio (a prescindere cioè da qualsiasi istanza di parte che, se avanzata, vale quale mera sollecitazione all'esercizio di poteri officiosi), la Corte di Cassazione procede al relativo accertamento con cognizione piena, dantesi alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti del processo, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice del merito (v. Cass., 20/1/2006, n. 1099; Cass., 29/9/2005, n. 19136; Cass., 16/1/2004, n. 630; Cass., 23/1/2002, n. 735; Cass., Sez. Un., 9/8/2001, n. 10977; Cass., Sez. Un., 25/5/2001, n. 226).
Orbene, nel caso il ricorrente ha dedotto sia violazione di legge che vizio di motivazione in ordine al giudicato sulla pronunzia Trib. Venezia n. 511 del 1993; nonchè violazione ex art. 112 c.p.c., violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla formulata richiesta di restituzione dell'importo di L. 5.000.000 nell'impugnata sentenza qualificata in termini di restituzione della caparra, anzichè di restituzione dell'indebito oggettivo conseguente alla nullità del contratto preliminare de quo.
Stante il tenore delle doglianze, riguardate alla stregua dei suesposti principi, va osservato ed affermato quanto segue.
Diversamente da quando sostenuto nell'impugnata sentenza (e pur se risulta ivi operato l'improprio - in parte qua - riferimento al giudicato implicito), va anzitutto escluso che nelle sopra riportate asserzioni, di carattere generico ed ipotetico, rinvenibili nella motivazione della sentenza Trib. Venezia n. 511 del 1993 possa ravvisarsi un compiuto accertamento incidenter tantum in ordine alla nullità del contratto preliminare in questione.
Atteso che il giudicato non si forma sulla pronunzia incidentale di nullità (v., da ultimo, Cass., 14/10/2005, n. 19903; Cass., 14/1/2003, n. 435; Cass., 17/5/2002, n. 7215; Cass., 1/8/2001, n. 19498; Cass., 9/2/1994, n. 1340; Cass., Sez. Un., 3/4/1989, n. 1611; Cass., Sez. Un., 25/3/1988, n. 2572; Cass., 29/5/1982, n. 3329), ed a fortiori in ordine a quelle enunciazioni che, come nel caso, non hanno una connessione logico-giuridica con le statuizioni - anche implicite - del dispositivo (v. Cass., 17/11/1962, n. 3126), va invero escluso, diversamente da quanto al riguardo sostenuto dalla corte di merito nell'impugnata sentenza, che Trib. Venezia n. 511 del 1993 abbia pronunziato (anche) sulla domanda di restituzione della caparra e di risarcimento dei danni dal P. proposta in via ricovenzionale.
Trattandosi nel caso di caparra confirmatoria prevista nel contratto preliminare de quo ed effettivamente corrisposta al B., dal P., che in quel giudizio ha optato per la domanda di risoluzione, va osservato che nel caso la richiesta della restituzione della caparra si aggiunge alla domanda di risarcimento del danno in tale sede spiegata in termini non già limitati alla forfettaria predeterminazione dell'importo dalle parti nel relativo patto accessorio convenzionalmente indicato, bensì ad integrale ristoro dei danni lamentati, con quantificazione da precisarsi in corso di giudizio.
La caparra confirmatoria, che consiste (come nella specie) in una somma o in una quantità di cose fungibili, ha invero natura composita e funzione eclettica (cfr. Cass., 4/3/2004, n. 4411).
Essa è infatti volta a garantire l'esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte, sotto tale profilo pertanto avvicinandosi alla cauzione (v. Cass., 4/3/2004, n. 4411); ha funzione di autotutela, consentendo di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice; ha funzione di preventiva liquidazione del danno (v. Cass., 20/9/2004, n. 18850; Cass., 4/3/2004, n. 4411) derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell'inadempimento della controparte (mentre va escluso che possa ad essa riconoscersi anche una funzione probatoria e una funzione sanzionatoria).
La caparra confirmatoria si distingue pertanto nettamente sia rispetto alla caparra penitenziale (la quale costituisce il corrispettivo del diritto di recesso: v. Cass., 10/6/1991, n. 6561; Cass., 5/12/1988, n. 6577) sia dalla clausola penale (v. Cass., 13/5/2004, n. 9091).
Diversamente da quest'ultima, in particolare, essa non pone un limite al danno risarcibile, ben potendo la parte non inadempiente recedere senza dover proporre domanda giudiziale o intimare la diffida ad adempiere (v. Cass,, 14/3/1988, n. 2435; Cass., 13/11/1982, n. 6047) e trattenere la caparra ricevuta ovvero esigere il doppio di quella prestata a totale soddisfacimento del danno deriv...

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